martedì 4 ottobre 2016

murar a secco

MURÀR’A SÉCCO

(Murare  a secco). È un modo di dire ripreso dal gergo dei muratori, ma di solito si usa quando siamo a tavola, apostrofando chi mangia senza bere. Pron. murar’ a sékkó.

'ndu ve son cipolle

’NDÙ VÈ SÓN CIPÓLLE


(Dove vai son cipolle). È un modo di  dire toscano che viene pronunciato come sfogo e in modo spazientito ogni vota che non si ha una risposta soddisfacente alle nostre domande o non si riesce a venire a capo di una questione. ’Ndu = aferesi e concrezione di in dove. Vè = vai. Nell’ aretino del passato erano usate le forme gìre, vìre, ìre. Solo ìre è attualmente in uso. Il verbo in aretino ha una coniugazione propria (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Pron. ’ndu vè són cipóllé.

'nduvinela grillo

’NDUVÌNELA GRILLO!


(Indovinala tu, Grillo), cioè vai a capire, chissà chi lo sa! È un modo di dire che viene dal passato, ma ancora oggi molto in voga. Si usa quando non sappiamo cosa dire o cosa fare. ’Nduvìnela = forma aferetica di induvìnela. La parola è formata da induvìne = indovina e la = quella. In aretino, quando l’imperativo ha suffisso un pronome, la a della desinenza italiana passa ad e chiusa. Es: amala > àmela. Grìllo = personaggio immaginario che rappresenta un saccente, forse per analogia con il Grillo parlante di Pinocchio. Pron. ’nduviléla Grilló.  

ne la ristoppia un ciarfà 'l greno

NE LA RISTÓPPIA UN CIARFÀ ’L GRÈNO

(Il grano non prospera nel campo dove era stato seminato l’anno precedente). Ne la = nella. In aretino le preposizioni articolate sono sempre pronunciate staccate e degeminate. Es: dallo > da lo. Ristóppia = doppia stoppia. La stoppia è il residuo del gambo del grano dopo la mietitura. Un = tipica negazione aretina per non. Ciarfà = ci rifà. Ci e arfà sono sempre pronunciate come fossero una sola parola. Questo spiega perché non si verifica il consueto passaggio di ci a ce. Arfà = è l’iterativo di fare: in aretino il prefisso iterativo è ar invece di ri. ’L = aferesi di el, tipico articolo aretino per il. Grèno =  la parola ci fa capire che si tratta di un modo di dire espresso in aretino stretto dove la a tonica italiana passa sempre  ad e  aperta. Es: pane > pène. Pron. né  la  ristóppia un ciarfà ’l grènó.

nel ber' e nel mangiare tutto sta nel guminciare

NEL BÉR’ E NEL MANGIÀRE TÚTTO STA NEL GUMINCIÀRE


(Nel bere e nel mangiare tutto sta nel cominciare). È un modo di dire che si usa in senso metaforico a significare che il difficile è iniziare, poi le cose vanno avanti da sé. Guminciàre = cominciare. La u si spiega con il fatto che in aretino la o protonica italiana passa spesso ad u: olivo > ulìvo, ortica > urtìca. La g si spiega con un altro fenomeno tipico dell’aretino, la lenizione. Pron. nél bér’é nél mangiaré tuttó sta nél guminciaré.

nutrichè l'annemeli

NUTRICHÈ LL’ANNEMÈLI o LE BÉSCHIE

(Dar da mangiare agli animali, soprattutto alle mucche o ai buoi). Era una frase tipica del mondo contadino del secondo dopoguerra, quando ancora il lavoro agricolo era svolto con la forza delle braccia o con l’aiuto dei buoi. Nutrichè è la forma apocopata dell’infinito nutrichère = nutrire. Nel passato la desinenza dell’in- finito dei verbi della I° coniugazione era ère invece di are. [L]l’ = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla con- sonante che immediatamente segue rl > ll. L’ = gli. In aretino alcuni articoli sono diversi da quelli italiani, il = el, lo = lo, la = la, gli = i o l’ se la parola inizia per vocale. Annemèli = animali. Nel gergo dei contadini con la parola annemèli o béschie si intendevano quasi sempre quelli che erano nella stalla, quindi buoi o mucche. La è si spiega con il fatto che nell’aretino del passato la a tonica passava sempre ad e aperta. Béschie = bestie. Il gruppo tie ha suono tra t e c con prevalenza di c e pronuncia occlusiva postpalatale sorda: bestie > béschie. Pron. nutrikè ll’annémèli o lé bésčé. [Nella scrittura con simboli la i non viene trascritta  perché compresa nel suono č]. 

o che fe duranti de cognome?

O CHE FÈ DURÀNTI DE COGNÓME?


(O che fai Duranti di cognome)?  Si dice a chi non capisce o fa finta di non capire. = fai. È la tipica seconda persona singolare del presente indicativo della seconda coniugazione aretina che sostituisce la desinenza italiana ai con è. Es: dai = (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Durànti = si gioca sul cognome Duranti perché ha la stessa etimologia di duro, quindi tardo a capire. De = tipica preposizione aretina per di. Pron. ó ké fè Duranti dé kógnómé?

o che sè de crognelo?

O CHE SÈ’ DE CRÒGNELO?


(O che sei così duro?)  Si dice con tono di rimprovero a chi non capisce o fa finta di non capire. Sè’ = forma apocopata della seconda persona singolare dell’indicativo presente del verbo essere = sei (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). De = preposizione aretina corrispondente all’italiano di. Crògnelo = variante toscana dell’italiano corniolo, un legno piuttosto duro usato nel mondo contadino del passato per fare manici a zappe e vanghe. Pron. ó ké sè’ dé krògnéló ?

o che vu fere murmio

O CHE VU FÈRE, MURMÍO!

(O cosa vuoi fare, amore mio!), come dire che vuoi farci, non ci si può fare niente. È un modo di dire espresso nell’aretino più  stretto, oggi caduto in disuso, ma molto usato dai nostri nonni in tutte le occasioni in cui la situazione non era risolvibile ed era più opportuno lasciar perdere. Vu = vuoi, è la seconda persona singolare del presente indicativo del verbo volere che, come potere, segue una coniugazione  propria (per  approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Fère = fare. Nell’aretino del secondo dopoguerra nei verbi della I° coniugazione la a tonica della desinenza italiana are passava ad e aperta:  are > ère. Oggi il fenomeno è del tutto scomparso. Murmìo = è un francesismo formato dalla pronuncia di amour = amùr con l’aferesi della a con suffisso l’aggettivo mio. Pron. ó ké vu fèré, murmió!

o cusì o chiodi

O CUSÌ O CHIODI!

(O così o niente)! Era la frase che i nostri nonni dicevano spesso ai loro figli quando storcevano il naso per un cibo non troppo gradito. Nel mondo del passato spesso i cibi non erano di ottima qualità, ma non si poteva buttare niente e spesso si doveva fare buon viso a cattiva sorte. Cusì = così. La o protonica italiana in aretino passa spesso ad u. Es: ortica > urtìca,  olivo > ulìvo. Chió- di = il gruppo chio ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Pron. ó kusì ó čódi! [Nella scrittura con simboli la i non viene trascritta perché compresa nel suono č].

ora un te fa freddo

ÓRA UN TE FA FRÉDDO!


(Ora non ti fa freddo), cioè ora le prendi. Ha sostituito la frase più antica mò un te fa fréddo. È una minaccia verbale di genitori ai figli o di un contendente all’altro, spesso seguita dai fatti. Un = tipica negazione aretina per non. Te = ti. In aretino le particelle pronominali sono mé, té, cé, sé, vé. = ora. Forma apocopata del latino mo[do]. Pron. óra, mò un té fa fréddó!

o un lo vedi com' è ardotto

O UN LO VÉDI COM’È ARDÓTTO, PARÍNO, RÈGGE L’ÁNNEMA CO’ DÈNTI

(Non vedi come è ridotto, poveretto, regge l’anima con i denti). È una frase con cui si commisera chi, pur trovandosi in una situazione di pessime condizioni fisiche, per incidente, per malattia o altri motivi, cerca con tutte le sue forze di rimanere attaccato alla vita. Un = tipica negazione aretina per non. Ardótto = ridotto. In aretino il prefisso iterativo è ar invece di ri. È tipico delle forme verbali ed è presente anche in ardótto in quanto participio, anche se in questo caso assume funzione aggettivale. Parìno = poverino, poveretto. È il diminutivo di povero che nella forma originaria era povarìno, poi per sincope di ov è diventato parìno.  Ánnema = anima. La doppia n si spiega con il fenomeno della geminazione. La e si deve al fatto che in molti casi la i postonica italiana passa in aretino ad e, soprattutto se preceduta da consonante  geminata. Es. manico > mànneco. Pron. ó  un  ló védi kóm’è ardóttó, parinó, règgé l’annéma kó’ dènti, mannékó.

parler' a uria

PARLÈR’ A ÙRIA

(Parlare a vanvera). È un modo di dire in aretino stretto, oggi poco usato. Si dice di chi apre la bocca e lascia uscire il fiato. Parler’ =  infinito apocopato di parlère. La desinenza ère era tipica dell’aretino del passato quando la a tonica italiana passava sempre ad e aperta. Es:  pane > pène. Úria = voce anche fiorentina probabilmente dal marchigiano auria = augurio con la a che si stacca dalla parola formandone due. Pron. parlèr’ a uria.

passalappele

PASSALÀPPELE!


(Vai avanti)! È una locuzione in aretino stretto molto usata in passato. È la concrezione di passa là per là, con geminazione di p e assimilazione  rl > ll con successiva degeminazione nella parola pella di l e sostituzione della a finale con e. Pron. passalappélé.

pe' la santissem' annunzieta el cucul' è a quareta

PE’ LA SANTISSEM’ANNUNZIÈTA ’L CUCÙL’È A QUARÈTA E SI ANCÓR’ UNN’È VINÙTO O È MÒRTO O S’È SPIRDÙTO.

(Per la festa della Santissima Annunziata il cuculo è a Quarata e se ancora non è arrivato o è morto o si è perso). È uno dei tanto proverbi riferiti al tempo elaborati dal vecchio mondo contadino. Il cuculo con il suo canto annuncia la primavera, se non si sente cantare significa che la primavera tarda a venire. Pe’ = forma apocopata di pér. Annunzièta = Annunziata. È la festa del 25 marzo detta anche ‟Festa dei fiori”. La e si spiega con il fatto che nell’aretino del passato la a tonica italiana passava ad e aperta. Lo stesso fenomeno si ha nella parola Quarèta = Quarata, frazione a pochi chilometri da Arezzo. ’L = forma aferetica dell’artico aretino el = il. Si = è la congiunzione condizionale aretina per se. In particolare nella successione italiana se si, in aretino si ha l’inversione della particelle: se si > si se. Unn’ = tipica negazione aretina per non. Quando la negazione un è seguita dal vocale si ha la geminazione della n. Vinùto = participio del verbo vinìre = venuto. Il verbo vinìre in aretino ha una coniugazione propria (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Spirdùto = è il participio del verbo aretino spèrdere = forma intensiva di perdere. Pron. pé’ la santissim’Annunzièta ’l  kucul’è a Kuarèta é si ancór’ unn’è vinutó ó è mortó ó s’è spirdutó.


pe ppagher' e murire c'è sempre tempo

PE PPAGHÈR’E MURÌRE C’È SÈMPRE TÈMPO


(Per pagare e morire c’è sempre tempo). In effetti sono due cose che non piacciono a nessuno, quindi meglio rimandare. È un modo di dire in aretino stretto. Pe = pér con assimilazione rp > pp. [P]paghère = la è della desinenza è dovuta al fatto che nell’aretino del passato la a tonica italiana passava sempre ad e aperta. Es: pàne > pène. Murìre = morire. La u è dovuta al fatto che la o protonica italiana in aretino passa spesso ad u. Es: olivo > ulìvo. C’è = si pronuncia come fosse una sola parola cè, quindi con la c fricativa sibilante [ȼ]. Pron. pé ppaghèr’ é muriré ȼè sèmpré tèmpó.

perder' el fich' e lo spauracchio

PÈRDERE ’L FÌCH’E LO SPAURÀCCHIO

(Perdere il fico e lo spaventapasseri). Si usa in senso metaforico con il significato di perdere tutto. ’L = aferesi di el tipico articolo aretino per il. Fìch’ = fico, frutto della ficaia. Spauràcchio =  spaventapasseri. Nei campi coltivati si mettevano in passato dei fantocci antropomorfi per spaventare gli uccelli. La parola deriva dal verbo spauràre, variante di spaurire, con il suffisso acchio in cui il gruppo cchio  assume suono occlusivo postapalatale sordo. Pron. pèrdér’ él fik’é ló spauraččó. [Nella scrittuta con simboli la i non viene trascritta in quanto già compresa nel suono č]. 

pe ssan donato l'invern' è nato

PÉ SSAN DONÀTO L’INVÈRN’È NÀTO

(L’inverno inizia dalla festa di S. Donato). La festività di S. Donato si celebra il sette di agosto, quindi ancora in estate, ma in effetti nel lontano passato, qualche volta il tempo cominciava a guastarsi con temporali e abbassamento delle temperature.  Va poi ricordato che prima della riforma del calendario gregoriano (1582), per errori nel computo del tempo, si era giunti ad una differenza di 11 giorni in più che furono corretti passando dal 3 al 14 ottobre. Da queste situazioni  probabilmente prende origine il modo di dire.
Pe = forma apocopata di pér con assimilazione rs > ss. Pron. pé ssan Dónató l’invèrn’è nató.

pieggne come 'na vita tagliata

PIÉGGNE CCÓME ’NA VÌTA TAGLIÀTA


(Piangere come una vite tagliata), cioè piangere a dirotto. È un modo di dire in aretino stretto oggi sostituito da piànge ccóme ’na vìte tagliàta. Piéggne = infinito breve di piéggner. Il verbo è stato oggi sostituito dall’italiano piangere o da frignàre. [C]cóme = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rc > cc. Vìta = vite. L’aretino, soprattutto quello stretto, non ammette incertezza di genere perciò sostituisce la desinenza ambigua con una più adatta a far riconoscere il genere: mano > màna, felce > félcia. Tagliàta = il paragone con la vite è fatto perché, quando le si potano i rami, emette un umore biancastro che serve per proteggerla dai parassiti e far rimarginare meglio la ferita. Pron. piéggné kkómé ’na vita tagliata.

pigliallo 'n culo come soner' a preddeca

PIGLIÀLLO ’N CÙLO CÓME SONÈR’A PRÈDDECA


(Essere sodomizzati in modo violento e ripetuto). La frase, in aretino stretto,  si dice ogni volta che si prende una solenne fregatura. Pigliàllo = prenderlo, formato da pigliar lo. [Lll]o = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rl > ll. Pigliàre è sempre preferito a prendere. Sonèr’ a prèddeca = suonare a predica, cioè con continuità ed energia per chiamare i fedeli a raccolta. Sonèr’ = la e della desinenza si spiega con il fatto che nell’aretino del passato la a tonica italiana passava ad e aperta. Es: pane > pène. Prèddeca = predica. La doppia d è dovuta al fenomeno della geminazione, la e invece della i al fatto che in aretino la i postonica italiana passa spesso ad e chiusa, soprattutto se preceduta da consonante geminata. Es: sudicio > sùddecio. Pron. piglialló ’n kuló kómé sonèr’a prèddéka, suddéȼió.

piglia nna giubbata d'acqua

PIGLIÀ NNA GIUBBÀTA D’ÀCQUA

(Prendere uno scrollo di  acqua). Si  dice di solito, quando per un acquazzone improvviso, rimaniamo  completamente bagnati. Piglià = infinito breve di pigliàr. [N]na = aferesi di una. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamtente segue rn > nn. Giubbàta = da giubba, termine toscano per giacca, con suffisso ata indicante colpo o offesa. Pron. piglià nna jubbata d’akkua.

piglia ppel culo

PIGLIÀ PPEL CÙLO


(Prendere per il culo) cioè in giro. È un modo di dire veramente molto usato espresso in un aretino molto colorito. Piglià = infinito breve di pigliàr. [P]pel = concrezione di per el  = per il. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rp > pp. Il verbo pigliàre è sempre preferito a prendere.  Cùlo = è sempre preferito a sedere. Pron. piglià ppél kuló.

pigliar' el zu traicche

PIGLIÀR’EL ZU’ TRAÌCCHE


(Prendere e andarsene, andarsene subito). Pigliàr’ = infinito apocopato di pigliàre, preferito nell’uso a prendere. El = tipico articolo aretino per il. Zu’ = apocope di zùo per suo. Gli aggettivi possessivi in aretino sono sempre apocopati. La z è dovuta la fatto che i grupppi italiani ls, ns, rs in aretino sono sempre pronunciati lz, nz, rz. Traìcche = parola di incerta origine, forse un francesismo da trajet = percorso, cammino. Pron. pigliar’él zu’ traikké.

pigliar' un dirizzone

PIGLIÀR’UN DIRIZZÓNE


(Incaponirsi, intestardirsi). Si dice di chiunque non si smuova dalla propria opinione anche se è palesemente sbagliata. Pigliàr = è sempre preferito a prendere. Dirizzóne = deverbale da dirizzare con suffisso accrescitivo one. Pron. pigliar’un dirizzóné.

piove col zole, la madonna cogli'un fiore

PIÓVE COL ZÓLE, LA MADÒNNA CÒGLI’UN FIÓRE, LO CÒGLIE PE GGESÙ, A MOMÉNT’UN PIÓVE PIÙ

(Piove con il sole, la Madonna coglie un  fiore, lo coglie per Gesù, tra poco non piove più). Storiella che si dice quando, in primavera o in estate, piove improvvisamente anche se non ci sono perturbazioni e quindi la pioggia durerà certamente poco. Col = concrezione di con il. Zóle = sole. I gruppi ls, ns, rs, in aretino sono sempre pronunciati lz, nz, rz. Pe Ggesù = per Gesù, assimilazione rg > gg. Un = tipica negazione aretina per non. Pron. pióvé kól zólé, la Madònna  kògli’un fióré, ló  kòglié pé Ggéʃù, a mómént’un
pióvé più.

piove come ddio la manda

PIÓVE CÓME ’DDÌO LA MÁNDA!


(Piove come Dio la manda)! Si usa in senso metaforico per indi- care una pioggia particolarmente abbondante. Pióve = in aretino la o tonica ha suono chiuso. ’[D]dìo = aferesi di Iddio. Pron. pióvé kómé ’Ddió la manda!

piove quante sa fare

PIÓVE QUÀNTE SA FÀRE!

(Piove quanto sa fare), cioè a dirotto. Si dice quando la pioggia è abbondante e insistente. Pióve = la o tonica ha sempre suono chiuso. Quànte = tipica forma aretina per quanto. Pron. pióvé kuanté sa faré.

pipe pipe

PÌPE, PÌPE! o PÌRE, PÌRE!


È il tipico richiamo per le galline. Pron. pipé, pipé, piré, piré.

pisciulin da le cudenne un po' ride e un po' piegne

PISCIULÌN DA LE CUDÉNNE, UN PO’ RID’E UN PO’ PIÈGGNE o PRÌMA RÌDE E DÓPPO PIÉGGNE.

(Pesciolino dalle cotenne un po’ ride e un po’ piange).  Era un modo di dire molto in uso nel passato, oggi quasi dimenticato. Si diceva ai bambini che passavano spesso dal riso al pianto e viceversa. Pisciulìn = diminutivo di péscio = pesce. L’aretino, soprattutto nei diminutivi, predilige all’interno della stessa parola suoni identici o simili.  Es: italiano fiore > fiorellino, aretino fióre > fiurillìno. Péscio = la o si spiega con il fatto che l’aretino non ammette incertezza di genere, quindi sostituisce la desinenza ambigua con una più adatta a far riconoscere il genere: mano > màna, felce > félcia, noce > nócio. Da le = dalle: le preposizioni articolate in aretino sono sempre pronunciate staccate e degeminate. Es: nello > ne lo. Cudénne = cotenne. È una parola molto interessante perché presenta due fenomeni tipicamente aretini: la o protonica  italiana che passa spesso ad u, es: olivo > ulìvo e la lenizione t > d. Probabilmente cudénne entra nel modo di dire solo per fare rima con pièggne. Piéggne = piange. È una tipica forma verbale dell’aretino del passato oggi sostituita dalla voce italiana. Dóppo = dopo: in aretino la parola è sempre pronunciata con la p geminata. Pron. Pisciulin da lé kudénné, un pò’ ridé é un pò’ piéggné, dóppó, pésció, félcia, nóȼió.

poca lana disse quelo che tosava i maiali

PÓCA LÀNA, DÌSSE QUÉLO CHE TOSÀV’ I MAIÀLAI


(Poca lana, disse quello che tosava i maiali). È uno dei tanti modi di dire riferibili al mondo contadino dove sono protagonisti gli aninali. La frase si usa in senso metaforico. Significa che quando  facciamo cose illogiche non ci possiamo che aspettare risultati negativi. Quélo = quello. In aretino si pronuncia sempre con la l degeminata. Pron. póka lana, dissé kuéló ké tóʃav’i maiali. 

poche mess'e terr'adosso

PÓCHE MÉSS’E TÈRR’ADÒSSO!


(Poche messe e terra addosso)! Si usa in senso metaforico inten- dendo dire facciamo presto, non perdiamo tempo inutilmente. Sull’origine del modo di dire si racconta una curiosa storiella: una famiglia di contadini molto poveri ebbe un decesso e si recò dal prete per il funerale e una messa di suffragio. Il prete domandò chi avrebbe pagato e alla risposta che non disponevano di danaro avrebbe pronunciato la frase. Adòsso = addosso. Viene sempre pronunciato con la  d degeminata. Pron. póké méss’ é tèrr’adòssó. 

por' i mi' gudrini

PÓR’ I MI’ GUADRÌNI!


(Poveri i miei quattrini).  Si dice ogni volta che i soldi spesi o investiti non hanno avuto l’esito che desideravamo. Pór’ = forma apocopata e sincopata  per poveri. Mi’ = forma apocopata dell’aggettivo possessivo aretino mii = miei. Gli aggettivi possessivi sono sempre pronunciati apocopati e preceduti dall’articolo. Es. mio zio > el mi’ zzìo. Guadrìni = forma aretina con doppia lenizione e degeminazione per l’taliano quattrini, q > g, tt > d. Pron. pór’ i mi’ guadrini, él mi’ zzió.

pover' e coglione un te fe mmei

PÓVER’E COGLIÓN’UN TE FÈ MMÈI


(Non ti fare mai povero e fesso).  È una delle varie frasi che i nostri nonni ripetevano spesso ai loro figli. Nel mondo contadino dove la povertà era la norma, sarebbe stato il colmo essere anche fessi. Coglión’ = è qui usato nel significato più diffuso di fesso. Un = tipica negazione aretina per non. Te = ti. In aretino le particelle pronominali sono mé, té, cé, sé, vé. Fè = infinito breve di  fèr. [M]mèi = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rm  > mm. La è di e di mèi si spiega con il fatto che fino agli anni settanta la a tonica italiana passava ad e aperta. Es: pane > pène. Oggi il fenomeno è del tutto scomparso. Pron. póvér’é kóglión’ un té fè mmèi.  

provar' el morzo del lupo

PROVÀR’EL MÒRZO DEL LÙPO


(Vivere una situazione precaria, di disagio) di solito per motivi di salute o economici. È un modo di dire che chiaramente si usa in senso metaforico. El = tipico articolo aretino per il. Mòrzo = la z è dovuta al fatto che in aretino i gruppi ls, ns, rs sono sempre pronunciati lz, nz, rz. Pron. próvar’él mòrzó dél lupó.

puzzi c'avelli

PÙZZI C’AVÈLLI!


(Puzzi come una tomba)! Si dice quando una persona ha un odore così sgradevole che risulta disgustoso anche starle vicino. C’ = apocope di che. Avèlli = tipico verbo aretino, seconda persona singolare del presente indicativo del verbo avellàre, denominale da avèllo = tomba (per approfondomenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Pron. puzzi k’avèlli!

quande la donna move l'anca o te la da o poco ce manca

QUÀNDE LA DÒNNA MÓVE L’ÀNCA O TE LA DÀ O PÓCO CE MÀNCA


(Quando la donna sculetta significa che è propensa all’approccio o che ci manca poco). I proverbi sulle donne sono molto frequenti anche nell’aretino e tendono quasi sempre a screditarla. Nel passato la donna, soprattutto nella civiltà contadina, godeva di scarsa considerazione poiché il capo indiscutibile della famiglia era l’uomo e sia i figli che la moglie era soggetti alla sua autorità. Quànde = tipica forma aretina per quando. Dònna = in aretino, oltre che femmina, significa anche moglie. Móve = muove. La o al posto del dittongo italiano uo si spiega con il fatto che l’aretino, per le parole derivanti dal latino, è più conservativo della lingua italiana. Infatti mentre in italiano la o tonica latina ha come esito uo, in aretino si mantiene assumendo suono chiuso: latino movet > italiano muove > aretino móve. Póco = a differenza dell’italiano la o tonica ha suono chiuso. Ce = analogamente alle particelle pronominali, anche l’avverbio di luogo ci in aretino assume la forma ce. Pron. kuandé la dònna móvé l’anka, ó té la da ó pókó ȼé manka.

quande la pasqu' è marzeta, la chiesa fa meggeta

QUÀNDE LA PÀSQU’È MARZÈTA, LA CHIÉSA FA MAGGÈTA


(Quando la Pasqua viene di marzo, la chiesa fa un buon raccolto). Quànde = tipica forma aretina per quando. Marzèta = marzata, cioè cade di marzo. In aretino stretto la a tonica italiana passa sempre ad e aperta. Es: pàne > pène. Maggèta = la parola ci suggerisce che probabilmente il modo di dire è di origine contadina. La maggèta o maggiàteca è il raccolto che si fa sui campi coltivati a maggese. La parola è però qui usata in senso metaforico: indica infatti il tasso di mortalità che, secondo la credenza popolare, aumenta quando la Pasqua è ‟bassa”, cioè cade di marzo. Pron. kuandé la Pasku’è marzèta, la kiéʃa fa maggèta.

quande la pequer' avett'el poggiolo

QUÀNDE LA PÉQUER’ AVÉTT’EL POGGIÓLO UN Z’ACCÒRDA PIÚE DEL FIGLIÓLO

(Quando la pecora ha  passato la cima del poggio non si ricorda più del figlio). È un proverbio, in aretino stretto, che si usa in senso metaforico. Significa che, chi si allontana da casa, spesso si dimentica di chi rimane. Quànde = tipica forma aretina per quando. Péquera = pronuncia in aretino stretto di pecora. Avétta = alla lettera significa passare la vetta. El = tipico articolo aretino per il. Poggiólo = diminutivo di poggio. Un = tipica negazione aretina per non. Z’accòrda = si ricorda. L z si spiega con il fatto che in aretino i gruppi ls, ns, rs, si pronunciano sempre lz, nz, rz. In aretino il prefisso iterativo è ar invece di ri. Nel caso di accòrda c’è poi stata l’assimilazione rc > cc. Piùe = più con e paragogica. Figliólo = in aretino la o tonica ha spesso suono chiuso. Pron. kuandé la pékuér’ avétt’él póggióló un z’akkòrda piué dél figlióló.

quande lignen' ha 'l capello, ariniti pigliete l'mbrello

QUÀNDE LIGNÈN’HA ’L CAPÈLLO, ARITÌNI PIGLIÈTE L’OMBRÈLLO!


(Quando Lignano ha il cappello, aretini prendete l’ombrello)!, cioè quando sopra il monte Lignano ci sono nuvole c’è buona probabilità che piova. È un proverbio in aretino stretto che abbiamo imparato dai nostri nonni, ancora oggi in uso, ma in una forma più italianizzata. Quànde = tipica forma aretina per quando. Lignèn’ = forma apocopata di Lignèno. La e si spiega con il fatto che nell’aretino del secondo dopoguerra la a tonica italiana passava sempre ad e aperta. Es: pane = pène.’L = forma aferetica del tipico articolo aretino el per il. Capèllo = in aretino si usa solo nella forma degeminata pp > p. Aritìni = aretini = la i protonica si spiega con il fatto che la e protonica italiana in aretino passa spesso ad i e per il fatto che l’aretino predilige all’interno della parola suoni identici o simili (vedi armonia vocalica). Pigliètepigliàre è sempre preferito a prendere. Pron. kuandé Lignèn’a l’kapèlló, aritini piglièté l’ómbrèlló.

quande l'ost' è su l'uscio 'n bottega un c'è nissuni

QUÀNDE L’ÒST’È SU’ L’ÙSCIO ’N BOTTÉGA UN C’È NISSÚNI

(Quando l’oste è sull’uscio, in bottega non c’è nessuno). È un proverbio in aretino stretto molto usato in passato, oggi quasi dismesso. Si usa sempre in senso metaforico. Significa che, se si lasciano incustoditi dei beni, siamo certi che non c’è nessuno che possa appropriarsene. Quànde = tipica forma aretina per quando. Su l’ = le preposizioni articolate in aretino sono sempre pronunciate staccate e degeminate: dello > de lo, alla > a la, nella > ne la. Úscio = è sempre preferito a porta. ’N = aferesi di in. Bottéga = è un termine generico che indica non solo il laboratorio artigiano, ma qualunque tipo di negozio. Un  = tipica negazione aretina per non. Nissùni = nessuno, parola tipica dell’aretino stretto oggi sostituita dal termine italiano. Pron. kuandé l’òst’è su l’usció ’n bóttéga un c’è nissuni.


quel che un n'amazza, 'ngrassa

QUÉL CHE UN N’AMÁZZA, ’NGRÁSSA                  


(Quello che non ammazza, fa ingrassare), come dire quello che non fa male fa bene. È una frase che i nostri nonni ripetevano spesso ai figli che si lamentavano della scarsa bontà del cibo. Nel passato, quando il cibo scarseggiava, soprattutto le classi meno abbienti, si dovevano accontentare di prodotti di bassa qualità e anche questi non erano sempre di facile reperimento. Un = tipica negazione aretina per non. Amàzza = ammazza. La mancanza di una m si spiega con il fenomeno della degeminazione, tipico del dialetto aretino. ’Ngràssa = forma aferetica di ingràssa. Pron. kuél ké un n’amazza, ’ngrassa.

ragazzo, pizzo, pazz' e malavezzo

RAGÀZZO, PÌZZO, PÀZZ’E MALAVÉZZO


 È un modo di dire oggi poco usato riferito ai giovani senza educazione e scapestrati. Pìzzo = parola di difficile traduzione, forse da connettere al latino pingere, quindi dal carattere pungente, spigoloso, che mal sopporta le regole. Malavézzo = concrezione di màle avézzo, cioè abituato male. In aretino il verbo avvezzare ha la v degeminata. Pron. ragazzó pizzó, pazzó é malavézzó.

ridi ridi che la mama ha fatt' i gnocchi

RÌDI, RÌDI CHE LA MÀMA HA FATT’I GNÒCCHI


(Ridi, ridi, che la mamma ha fatto gli gnocchi). Si dice con ironia e tono di rimprovero a chi ha commesso un illecito, una cattiva azione e non se ne rende conto. Màma = la mancanza di una m si deve al fenomeno della degeminazione. I =  gli: l’aretino predilige l’articolo i anche di fronte al gruppo gn. Gnòcchi = il gruppo cchi ha pronuncia velare. Pron. ridi, ridi, ké la mama ha fatt’i gnòkki.

rimettece anc' el pelo de' coglioni

RIMÉTTECE ÀNC’ EL PÉLO DE’ COGLIÓNI

(Rimetterci anche il pelo dei testicoli). Questa frase, espressa in vernacolo molto colorito, si usa in genere quando un affare va talmente male che, non solo non si guadagna niente, ma ci si rimette anche il capitale investito. Riméttece = infinito breve di rimétter con suffisso l’avverbio di luogo aretino ce = ci e sincope di r. Ánc’ = forma apocopata della congiunzione aretina ànco = anche. El = tipico articolo aretino per il. De’ = forma apocopata della preposizione articolata dei. Pron. riméttéȼé ank’él péló dé kóglióni.

rivoltà lla frittata

RIVOLTÀ LLA FRITTÀTA

(Ribaltare la situazione). Si dice quando si capovolge a proprio vantaggio una situazione o si fanno apparire cose in modo diverso da come sono in realtà. Rivoltà = forma breve di rivoltàr. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rl > ll. Pron. rivóltà lla frittata.

robba da chiodi

RÒBBA DA CHIÓDI


(Roba da chiodi).  Si dice o di cose di scarsa qualità o di ciò che desta meraviglia o è poco credibile. È un modo di dire che viene da lontano. Sembra infatti che i fabbri di un tempo fabbricassero i chiodi con il ferro di scarto dei lavori più impegnativi. Ròbba = la doppia b si spiega con il fenomeno tipico dell’aretino della geminazione. Chiódi = il gruppo chio ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Pron. ròbba da čódi. [Nella scrittura con simboli la i non viene trascritta perché compresa nel suono č].

romper' i baloci

RÓMPER’I BALÓCI


(Rompere i testicoli) cioè infastidire.  È un modo di dire blando per non usare espressioni ritenute triviali come rómper’ i cogglióni, le pàlle. Si dice anche rómper’i marróni o i zibidèi. Balóci = è un termine toscano che ha come primo significato castagna lessa e, per analogia della forma, anche testicoli. Marróni  =  varietà di castagna molto pregiata. Zibidèi = deriva dal nome proprio Zebedeo senza nesso evidente. Forse si potrebbe far riferimento al Vangelo di Matteo (20,20-24) dove Salomè dice a Gesù: fai, o Signore, che i miei figli siedano nel tuo regno, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra. Si tratterebbe quindi di una analogia di posizione. Pron. rómpér’ i balóȼi, kóglióni, pallé, marróni, ʑibidèi.

rubbarebb' anco 'l fum 'a le scacciate

RUBBARÈBB’ÀNCO ’L FÙM’A LE SCACCIÀTE


(Ruberebbe anche il fumo alle schiacciate). Si dice di chi è disposto a rubare di tutto, anche cose di minimo valore.   Rubbarèbbe = terza persona singolare del condizionae aretino del verbo rubbàre che ha la desinenza in arèbbe invece che erebbe (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stessso autore). La doppia b è dovuta al fenomeno della geminazione. Ánco = tipica congiunzione aretina per anche. ’L = aferesi di el, tipico articolo aretino per il. Fùm’ = apocope di fùme. È una parola molto interessante  perché  si  tratta di un’eccezione. L’aretino non ammette infatti incertezza di genere. La parola fumo ha già un genere definito, quindi perché modificare la parola ripristinando una desinenza ambigua? Scacciàte = forma sincopata di schiacciate. Pron. rubbarèbb’ ankó ’l fum’a lé skacciaté. 

runculin doppo vendemmia

RUNCULÌN DÓPPO VENDÉMMIA

(Avere un roncolino dopo che si è vendemmiato), cioè quando non serve più. Si usa in senso metaforico per indicare una persona che, per abitudine, arriva quando non c’è più bisogno di lui. Runculìn = roncolino, apocope  di  runculìno. In  aretino la  o  protonica  passa spesso ad u. Es: ortica > urtìca. Dóppo = è sempre pronunciato con la p geminata. Pron. runkulin dóppó véndémmia.

saltà dde palo 'n frasca

SALTÀ DDE PÀLO ’N FRÀSCA


(Saltare di palo in frasca). Si dice quando si passa da un argomento ad un altro senza connessione logica. Saltà = infinito breve di saltàr. [D]de = tipica preposizione aretina per di. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rd > dd. Pron. saltà ddé paló ’n fraska.

s'anda bbene disse quelo che pigliava i cazzotti e li contava

S’ANDÀ BBÉNE, DÌSSE QUÉLO CHE PIGLIÀV’I CAZZÒTTI, E LI CONTÀVA


(S’andare bene, disse quello che prendeva i pugni e li contava). La frase si pronuncia quando ci troviamo in difficoltà o ci capita qualcosa che non ci aspettavamo e non sappiamo come uscirne. Andà = infinito breve di andàr. [B]béne = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rb > bb. Quélo = quello. In aretino è sempre pronunciato con la l degeminata. Pigliàva = pigliàre è sempre preferito a prendere. Cazzòtti = è sempre preferito a pugni. Pron. s’andà bbéné, dissé kuéló ké pigliav’i kazzòtti, é li kóntava.

santa luci' è 'l giorno più corto che ce sia

SÀNTA LUCÌ ’È ’L GIÓRNO PIÙ CÓRTO CHE CE SÌA


(Santa Lucia è il giorno più corto che ci sia). Sànta Lucì’ = Santa Lucia. Si festeggia il 13 dicembre. Il proverbio è dovuto al fatto che, prima della riforma gregoriana [Gregorio XIII° 1582], effettivamente il 13 dicembre era il giorno in cui, più o meno, cadeva il solistizio d’inverno poiché, per errori sul computo del tempo,  si era giunti ad una differenza di 11 giorni in più che furono corretti togliendo 10 giorni e facendo seguire il 3 ottobre al 14 ottobre. ’L = aferesi di el, tipico articolo aretino per il. Ce = l’avverbio di luogo italiano ci in aretino è sempre pronunciato ce. Pron. Santa Luȼi’ è ’l giórnó più kórtó ké ȼé sia.

s'è arvolta la mula al meddeco

S’È ARVÒLTA LA MÚL’AL MÈDDECO

(Si è rivoltata la mula al medico), cioè si sono invertite le parti, poiché di solito l’uomo comanda e l’animale obbedisce. È un modo di dire che si usa in senso metaforico. I medici di condotta di un tempo, per visitare ed assitere i loro pazienti, viaggiavano con il carrozzino, e dove non c’erano strade o il percorso era particolarmente accidentato, a dorso di mulo. Il modo di dire enuncia quindi la modifica di uno stato di fatto, di una situazione da sempre esistente e ormai codificata in cui i ruoli convenzionali vengono sovvertiti ed invertiti. Arvòlta = rivoltata. In aretino il prefisso iterativo è ar. Es: rifare > arfàre. Mèddeco = medico. La doppia d si deve al fenoneno delle geminazione  con conseguente passaggio della i postonica italiana ad e chiusa soprattutto quando è preceduta da consonante geminata. Es: manico > mànneco. Pron. s’è arvòlta la mul’al mèddékó, mannékó.