venerdì 7 ottobre 2016

di lle divozioni

DÌ LLE DIVOZZIÓNI o L’IMMARÌA

(Dire le preghiere o l’Ave Maria). È una frase espressa in aretino stretto. Nell’immediato secondo dopoguerra la chiesa esercitava ancora un forte potere sul mondo contadino, tanto che la domenica si doveva andare a messa, la sera si recitava il rosario, si passavano in veglia le notti prima della festività importanti e in occasione dei raccolti i frati da cerca venivano a chiedere le decime che non erano più obbligatorie, ma si davano ugualmente. In questo mondo ancora fortemente permeato dalla religione non si poteva fare a meno, prima di coricarsi di di lle divozzióni, cioè recitare le preghiere. = infinito breve di dìr. [L]le = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rl > ll. Divozzióni = preghiere. Il gruppo zio in aretino si pronuncia sempre con la z geminata. La i si spiega con il fatto che in aretino spesso la e protonica italiana passa ad i. Es: cerino > cirìno. Immarìa = è una inspiegabile concrezione di ave Maria. Pron. di llè divózzióni o l’immaria.

durmì dda la grossa

DURMÌ DDA LA GRÒSSA

(Dormire profondamente). Si dice di persone che hanno il sonno profondo o, in senso metaforico, di chi è estremamente lento nel fare. Durmì = infinito breve di durmìr. [D]da = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rd > dd. La u è dovuta al fatto che la o protonica italiana in aretino spesso passa ad u. Es: ortica > urtica. Da la gròssa = profondamente. Pron. durmì dda la gròssa.

e dai e picchia e mena

E DÀI E PÌCCHIA E MÉNA


Si dice quando un dialogo, un lavoro o qualunque altra situazione dura troppo a lungo e finisce per infastidire. Pìcchia = il gruppo cchia ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Ména = è la terza persona singolare del presente indicativo del verbo menàre = condurre avanti. Pron. é dai é pičča é ména. [Nella scrittura con simboli la i non viene trascritta perché compresa nel suono č].

è fatto com 'l bughigo

È FÁTTO CÓME ’L BUGHÍGO CHE PRÉSE UN GÁTTO PI COGLIÓNI E DÍSSE: È ’M MÁSCHIO!


(Hai fatto come Bughigo che afferrò un gatto per i testicoli e disse: è un maschio!)  La frase si usa per riprendere chi fa o dice una cosa di per sé evidente. È = hai, seconda persona singolare del presente indicativo del verbo avere. ’L = forma aferetica di el, tipico articolo aretino per il. A differenza dell’italiano l’aretino predilige l’uso dell’articolo anche davanti al nome proprio. Bughìgo = soprannome che si dà a persone di cui si ha poca stima. Il gruppo ghi ha pronuncia occlusiva postpalatale sonora. Pi è la crasi di per i. ’M  = forma aferetica di un con assimilazione nm > mm. Màschio = il gruppo chio ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Pron. è fattó kómé ’l Buĝigó ké présé ’n gattó pi kóglióni é dissé: è ’n masčó. [Nella scrittura con simboli la i non viene trascritta perché compresa nel suono ĝ, č].

è fatto com' i pifferi de montagna

È FÀTTO CÓM’I PÌFFERI DE MONTÀGNA C’ANDÒNNO PER SONÈRE E FÙNNO SONÈTI


(Hai fatto come i pifferi di montagna, che andarono per suonare e furono suonati). È un proverbio in aretino stretto. Si dice con tono canzonatorio o di rimprovero a chi intendeva darle e le ha invece prese. La storia dei pifferi di montagna nasce in un paesino non precisato delle Alpi dove abitavano tre fratelli che avevano lo sfizio di suonare il piffero. Ognuno di loro sapeva suonare solo due note, ma essi erano convinti di essere dei grandi suonatori. Un giorno decisero di andare nel paesello vicino per allietare con la loro musica quella popolazione. Quando iniziarono a suonare lo stridore che producevano era indicibile e il fastidio per i poveri abitanti insopportabile, tanto che tutti si rivoltarono loro contro e li riempirono di botte. Così tornarono alla loro casa sconsolati e malconci: erano andati per suonare e furono suonati! È = è la seconda persona singolare dell’indicativo presente del verbo avere = hai. La sostituzione della desinenza italiana ai con è è tipica delle seconde persone dell’indicativo presente di tutti i verbi aretini (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). C’ = forma apocopata di che. Andònno è la terza persona plurale del passato remoto del verbo ìre = andaro- no. Sonère: la desinenza ère invece dell’italiano are era tipica dei verbi della prima coniugazione dell’aretino del secondo dopoguerra. Fùnno è la terza persona plurale del passato remoto del verbo essere = furono. Sonèti è il participio passato del verbo sonàre. Per le parole derivanti dal latino l’aretino è più conservativo dell’italiano: mantiene infatti la o tonica originaria che assume suono chiuso: latino sonare > italiano suonare > aretino sonàre. Come nel caso della desinenza dell’infinito, la a tonica italiana nell’aretino del secondo dopoguerra passava ad è. Anche questo fenomeno è caduto in disuso. Pron. è fattó kóm’i pifféri dé móntagna k’andónnó pér sónèré é funnó sónèti.

è la banda del corpo sciolto

È LA BÀNDA DEL CÒRPO SCIÒLTO

È un modo di dire espresso in aretino attuale. Si dice con tono ironico di persone delle quali non si ha minima considerazione, che valgono poco o niente. Bànda = la parola è qui usata nel significato negativo di organizzazione di malavitosi. Còrpo sciòlto = diarrea. Le feci, comunque siano, sono sempre un prodotto di scarto. Anche queste parole quindi rafforzano il senso deleterio che si dà alla frase. Pron. è la banda dél kòrpó sciòltó.

è la su' morte

È LA SU’ MÒRTE!


(È la sua morte)! Cioè essere la cosa migliore, il modo migliore di farlo morire, detto soprattutto del cibo cucinato in modo perfetto. Pron. è la su’mòrté!

el bisugnono fa trottà lla vecchia

EL BISUGNÌNO FA TROTTÀ LLA VÈCCHIA


Il bisogno fa correre anche i vecchi). È una frase che si usa in senso metaforico per dire che in caso di bisogno si ricorre a tutti i mezzi possibili. El = tipico articolo aretino per il. Bisugnìno = diminutivo di bisogno. La u al posto della o si spiega con il fatto che l’aretino predilige nei diminutivi l’armonia vocalica. Trottà = infinito breve di trottàr. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rl > ll. Vècchia = il gruppo cchia ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Pron. él biʃugninó fa tróttà lla vèčča. [Nella scrittura con simboli la i non viene trascritta in quanto già compresa nel suono čč].

el caldo de' lenzoli un fa bullì lla pentela

EL CÀLDO DE’ LENZÓLI UN FÁ BULLÌ LLA PÉNTELA


(Il caldo delle lenzuola non fa bollire la pentola). In senso concreto significa che per fare il fuoco occorre la legna adatta, in senso astratto che in ogni situazione occorre avere il comportamento adeguato e gli strumenti adatti. El = tipico articolo aretino per il. Lenzóli = lenzuola. In aretino è maschile anche al plurale. Un = tipica negazione aretina per non. Bullì = infinito breve di bullìr. La u si spiega con il fatto che l’aretino, per le parole derivanti dal latino, è più conservativo dell’italiano. Infatti, mentre in italiano la u protonica latina dà come esito o, l’aretino maniene la u originaria: latino bullire > italiano bollire> aretino bullìre. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rl > ll. Péntela = pentola. La e postonica è dovuta al fatto che la o postonica italiana in aretino passa spesso ad e. Es: cintola > cìntela. Pron. él kaldó dé lénzóli un fa bullì lla péntéla.

è 'l cumbrugliume

È ’L CUMBRUGLIÙME!


(È l’alba o il tramonto). In realtà, con questo termine, si indica indifferentemente il passaggio dal dì alla notte e dalla notte al dì. È un termine che ormai solo gli anziani conoscono poiché il dialetto aretino sta perdendo inesorabilmente parte dei suoi vocaboli più significativi. Si usa anche in senso astratto come sinonimo di confusione. L’ipotesi più probabile è che sia la trasformazione della frase latina cum umbra et lumine cioè con l’ombra e la luce. È infatti un breve periodo di penombra in cui è difficlile stabilire se già sia arrivato il dì o sia ancora notte e viceversa se sia finito il dì e sia arrivata la notte. Pron. è ’l kumbrugliumé.

el mond' è fatt'a forcone

EL MÓND’È FÀTT’A FORCÓNE, CHI ’NFÌLA ’NFÌLA, CHI ÙNNE ’NFÌL’È ’N COGLIÓNE

(Il mondo è fatto a forcone, chi infila infila, chi non infila è un fesso). È un modo di dire che si usa in senso metaforico. Significa che occorre sempre approfittare dei momenti favorevoli, chi non lo fa è un incapace o un fesso. El = tipico articolo aretino per il. Chi = ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Únne = un = non con e paragogica. Un è la tipica negazione aretina per non. Quando è seguita da vocale si ha sempre la geminazione di n.’Nfìla = aferesi di infila. Coglióne = è qui usato nel senso di fesso. Pron. él mónd’è fatt’a fórkóné, či ’nfila, ’nfila, či unné nfil’è ’n kóglióné.


el tempo dopp' i nuvveli arzilustra

EL TÈMPO DÓPP’I NÙVVEL’ ARZILÙSTRA

(Il tempo dopo le nuvole si rasserena), cioè dopo la pioggia torna il sereno. È un modo di dire in aretino molto stretto, oggi caduto in disuso. El = tipico articolo aretino per il. Dópp’ = apocope di dopo con geminazione di p. Nùvvel’ = apocope di nùvveli = nuvoli, con geminazione di v. Arzilùstra = risplende. Era un verbo molto usato in passato riferito quasi sempre al tempo, formato dal prefisso accrescitivo arzi per arci e lustràre  = lucidare, splendere. Pron. él tèmpó dópp’i nuvvél’arzilustra.

el trio merdella

EL TRÌO MERDÈLLA: EL VÀSO,  L’URINÁLE, LA CATINÈLLA!


(Il trio Merdella: il vaso, il vaso da notte, la catinella). La frase è rivolta a persone delle quali non abbiamo nessuna stima perché hanno troppo spesso un comportamento molto censurabile. El = tipico articolo aretino per il. Merdèlla = cognome di finzione,  chiaramente allusivo al valore delle persone alle quali è rivolto. Urinàle = vaso da notte, da urìna con suffisso ale. Pron. él trió Mérdèlla, él vaʃó, l’urinalé, la katinèlla.

el vin' è la poccia de' vecchi

EL VÌN’È LA PÓCCIA DE’ VÈCCHI


(Il vino è la tettarella dei vecchi). Dipende solo dall’età, c’è chi succhia il latte e chi il vino. È un proverbio antico molto in uso soprattutto nel dopoguerra quando gli svaghi erano veramente pochi, ma il vino ancora genuino e di solito disponibile nelle famiglie contadine. El = tipico articolo aretino per il. Póccia = è sempre preferito a mammella o seno. De’ = apocope di dei. Vècchi = il gruppo cchi ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Pron. él vin’è la póccia dé’ vèčči. 

è 'na bricia fredda

È ’NA BRÌCIA FRÉDDA

(È una persona priva di sensibilità). È una considerazione che si può rivolgere a chiunque, ma si usa soprattutto nei confronti delle donne poco passionali. Brìcia = tipico termine aretino per castagna. Deriva dal verbo briciàre = sbriciolare, per il fatto che le castagne si macinano per farne farina. Pron. è ’na briȼia frédda.

è 'na merda secca

È ’NA MÈRDA SÉCCA


(È un cialtrone, un poco di buono, una persona inaffidabile). È un’ingiuria molto grave che si rivolge con tono di rimprovero o di commiserazione

è 'n antro per de manneche

È ’N ÀNTRO PÈR DE MÀNNECHE


(È un altro paio di maniche), cioè è tutta un’altra cosa. È un modo di dire in aretino stretto. Si dice quando finalmente ci vengono proposte la soluzione o la cosa giusta. ’N = forma aferetica di un. Ántro = altro. In aretino esiste solo la forma àntro: si tratta di un mutamento di suono da palatale a nasale. Pèr = par per paio. La e si deve al fatto che in aretino stretto la a tonica italiana passa ad e aperta. Es: pane > pène. De = tipica preposizione aretina per di. Mànneche = maniche. La parola in aretino ha sempre la n geminata. La e  è dovuta al fatto che la i postonica italiana in aretino passa spesso ad e chiusa soprattutto quando è preceduta da consonante geminata. Es: domenica > doménneca. Pron. è ’n antró pèr dé mannéké, dóménnéka.

è 'na testa che un te la mangia

È ’NA TÈSTA CHE ’N TE LA MÁNGIA MÁNCO ’N MAIÁLE

(Hai una testa che non te la mangia nemmeno un maiale). La frase è rivolta spesso con tono di rimprovero a chi non sa fare o a chi capisce poco. È =  seconda persona singolare del presente indicativo del verbo avere = hai. ’Na = forma aferetica di una. ’N = forma aferetica della negazione aretina  un = non. Tèsta è la parola più interessante della frase. L’etimologia latina ci rivela infatti che significa vaso di coccio, quindi richiama sia il concetto di fragilità che di vuoto, nel nostro caso significando la mancanza della materia grigia che invece dovrebbe contenere. Mànco = nemmeno. Pron. è ’na tèsta ké ’n té la mangia mankó ’n maialé.

è 'n bocon ghiotto

È ’N BOCÓN’ GHIÓTTO


(È un boccone ghiottto), cioè una cosa molto desiderabile. Il modo di dire si usa sia in senso concreto, riferendosi ad un cibo particolarmente prelibato, sia in senso lato, per indicare tutto ciò che è appetibile. ’N = forma aferetica per un. Bocón = forma apocopata di bocóne. La mancanza di una c si spiega con il fenomeno della degeminazione. Ghiótto = il gruppo ghio ha pronuncia occlusiva postpalatale sonora. Pron. è ’n bókón’ ĝóttó. [Nella scrittura con simboli la i non viene trascritta in quanto già compresa nel suono ĝ].

è 'n farfallone

È ’N FARFALLÓNE


(È una persona poco affidabile). Si dice di chiunque non abbia un comportamento lineare. Farfallóne = grossa farfalla. Il modo di dire è probabilmente desunto dal modo di volare della farfalla che non è lineare, ma ha una andamento a zig-zag. Pron. è ’n farfallóné.

è 'n freddo che se bubbela

È ’N FRÉDDO CHE SE BÙBBELA

(È tanto freddo chi si trema). È un modo di dire che viene da lontano. Nel passato le stagioni erano molto più definite, e in inverno nevicava spesso e faceva molto freddo specialmente nelle case coloniche che erano piene di spifferi. Si usciva di casa solo per le necessità e di solito tutta la famiglia era riunita intorno al grande camino dove il fuoco non veniva mai spento. Se = le particelle pronominali in aretino sono mé, té, cé, sé, vé. Bùbbela = trema. È una voce onomatopeica tipicamente aretina. Esistono anche le espressioni è ’fréddo che spèlla, è ’n fréddo che se càca da rìtti. Pron. è ’n fréddó ké sé bubbéla, ké spèlla, ké sé kaka da ritti.

è 'n saltastecce

È ’N SALTASTÉCCE


(È una persona molto secca). ’N = aferesi di un. Nella pronuncia la u si elide per evitare lo iato.  Saltastécce =  termine tipicamente aretino formato da salta e stecce. Per stéccia si intende il residuo dello stelo del grano dopo la mietitura. Nella civiltà contadina del passato, quando arrivava la stagióne bóna, cioè con la primavera, i ragazzi cominciavano a camminare scalzi e dopo la mietitura del grano si facevano delle gare di corsa a piedi nudi proprio sui campi dove era stato mietuto il grano e questi ragazzi venivano appunto detti saltastécce, cioè coloro che saltano (nel senso di corrono) sulle stecce. Pron. è ’n saltastéccé, stajóné bóna.

entela la troia pulita

ÈNTELA LA TRÓIA PULÌTA!


(Sentila la troia pulita)!  Si dice con tono ironico o di rimprovero a chi si permette di criticare essendo egli stesso in evidente difetto, è un po’ come dire ‟senti da che pulpito viene la predica, senti chi parla”! Èntela = aferesi di sèntela. La e postonica in sostituzione della i postonica italiana è una caratteristica dell’aretino, soprattutto quando è preceduta da consonante geminata. Es: manico > mànneco. Tròia pulìta = è un ossimoro. La troia è la femmina del maiale che, come è noto, ama rotolarsi nel fango, quindi è tutt’altro che pulita. Pron. èntéla la tròia pulita!

enti che scuccudio

ÈNTI CHE SCUCCUDÌO!

(Senti che chiacchiericcio)! È uno dei tanti modi di dire che intendono ettere in evidenza i difetti femminili. Si dice quando un gruppo di donne è intento a parlare, magari a voce alta e con risa e grida. Ènti = aferesi di sènti. Scuccudìo = scoccodio, è il tipico verso della gallina quando ha fatto l’uovo. Le due u si piegano con il fatto che in aretino la o protonica italiana passa spesso ad u.
Es: ortica > urtìca. Pron. ènti ké skukkudió!

enti enti

ÈNTI, ÈNTI!

(Senti, senti). È un  modo di dire che indica stupore o meraviglia. Ènti = forma aferetica per sènti. Pron. ènti, ènti!

è peggio d'un citto bighino

È PÈGGIO D’UN CÌTTO BIGHÌNO

(È peggiore di un bambino). È una frase in aretino stretto che si dice di chiunque abbia un comportamento infantile. Pèggio = in aretino peggiore e migliore si trovano sempre nella forma mèglio, pèggio o più mèglio, più pèggio. Cìtto = bambino. Tipica parola aretina per ragazzo, bambino, (ma usata anche nel senso di fidanzato e al femminile fidanzata) da connettere probabilmente al latino citus = veloce, per l’agilità dei movimenti che si ha in età giovanile. Bighìno =  è una variante di picìno = piccolo, in cui si è avuta una doppia lenizione p > b e c > g. Il gruppo ghi ha pronuncia occlusiva postpalatale sonora. Pron. è pèggió d’un cittó biĝinó. 

è più coglion che ammene

È PIÙ COGLIÓN CHE ÀMMENE


(È più fesso che amen). È la considerazione che si fa di chi è troppo buono o troppo minchione. Ámmene = pronuncia tipicamente aretina di amen. L’aretino non ammette parole che terminano per consonante. Quando entrano nel territorio parole straniere che terminano per consonante, la consonante o le consonanti  finali vengono eliminate  oppure viene  raddoppiata la consonante finale con l’aggiunta di una e paragogica. Es: nailon > nàilo, camion > càmio, gas > gàsse, bar > bàrre. Pron. è più kóglión ké amméné, nailó, kamió, gassé, barré.

è più 'l patire che 'l godere

È PIÙ ’L PATÌRE CHE ’L GÓDERE


(È più il patire che il godere). Si dice in genere quando il gioco non vale la candela. ’L = aferesi dell’articolo aretino el per il. Gódere = la cosa interessante del verbo è che in aretino è sdrucciolo mentre in italiano è piano. Pron. è più ’l patiré ké ’l gódéré. 

è quelo del bon gesù

È QUÉLO DEL BÓN GESÙ, DÓPPO QUÉST’UN CE N’È PIÙ

È quello del buon Gesù, dopo questo non ce ne sono più). Si dice ogni volta che qualcosa sta per terminare. Quélo = in aretino l’aggettivo e il pronome dimostrativo quello hanno sempre forma degeminata. Bón = apocope di bóno. La mancanza della u si spiega con il fatto che l’aretino, per le parole derivanti dal latino, è più conservativo dell’italiano: mantiene infatti la o tonica originaria che assume suono chiuso: latino bonus > italiano buono > aretino bóno. Dóppo = dopo, si pronuncia sempre con la p geminata Un = tipica  negazione aretina per non. Ce = ci. L’avverbio di luogo italiano ci in aretino è sempre pronunciato ce. È = l’aretino predilige l’uso del verbo al singolare anche quando il soggetto è plurale. Pron. è kuéló dél bón Gésù, dóppó kuést’un cé n’è più. 

è spiccecato

È SPICCECÁTO


(È identico). Di solito si usa per dire che un figlio è identico al genitore: è ’l zu’ bàbo, la su’ màma spiccecàto! cioè è identico a suo padre, a sua madre! Spiccecàto = spiccicato: è il participio aggettivato del verbo spiccecàre = essere identico, somigliare.’L = aferesi di el, tipico articolo aretino per il. Zu’ = apocope di suo. In aretino gli aggettivi possessivi sono sempre pronunciati apocopati. La z è dovuta al fatto che in aretino i gruppi ls, ns, rs sono sempre pronunciati lz, nz, rz. Bàbo, màma = sono sempre pronunciati con la b e la m degeminate. Pron. è spiccékató!

esse bbriaco come le stacce

ÈSSE BBRIÀCO CÓME LE STÀCCE


(Essere ubriaco come i setacci). Si dice di solito di chi, a causa dell’alcool, ha una andamento barcollante. Èsse = infinito breve per esser. [B]briàco = aferesi di ubriaco. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rb > bb. Stàcce = pronuncia aretina di setacci con sincope di e e passaggio al genere femminile. Le stàcce si usavano un tempo per setacciare la farina tenendole in mano e oscillando le braccia da destra a sinistra e viceversa e da qui l’analogia  con l’andamento barcollante  dell’ubriaco. Pron. èssé bbriakó kómé lé staccé.

esse dde crognelo

ÈSSE DDE CRÒGNELO

(Essere molto tardi nel capire, avere la testa dura). Si dice di chi stenta a capire anche le cose più semplici. Èsse = infinito breve di èsser. [D]de = tipica preposizione aretina per di. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rd > dd. Crògnelo = è il nome aretino del corniolo. Pron. èssé ddé krògnéló.

esse ddel gatto

ÈSSE DDEL GÀTTO


(Essere preda del gatto), fare la fine del topo, cioè fare una brutta fine perché il topo è mangiato dal gatto. È un modo di dire che si usa sempre in senso metaforico. Èsse = infinito breve di èsser. [D]del = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rd > dd. Pron. èssé dél gattó.

esse dde manneca larga

ÈSSE DDE MÀNNECA LÀRGA  


(Essere di manica larga), cioè non badare a spese o elargire in abbondanza. Si dice di chi concede troppo o spende e spande. Èsse = infinito breve di èsser. [D]de = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rd > dd. [D]de = preposizione aretina per di. Mànneca = manica. La doppia n è dovuta al fenomeno aretino della geminazione. La e si ha perché la i postonica italiana in aretino passa spesso ad e soprattutto dopo consonante geminata. Es: monaco > mònneco. Pron. èssé ddé mannéka larga.

esse diritto come la via de poti

ÈSSE DDIRÌTTO CÓME LA VÌA DE PÓTI


(Essere diritto come la strada di Poti). È un modo di dire espresso in aretino attuale detto sempre in senso ironico o come presa di giro. Come gli aretini ben sanno la strada che porta all’Alpe di Poti non è soltanto molto ripida, ma è anche tutta curve. Èsse = infinito breve di èsser. [D]dirìtto = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rd > dd. Vìa  =  è sempre preferito a strada. De = tipica preposizione aretina per di. Pron. èssé ddirittó kómé la via dé Póti.

esse ffreddo marmato

ÈSSE FFRÉDDO MARMATO

(Essere freddo com il marmo). Si dice in genere di persona ammalata che, causa febbre alta o altri motivi, perde calore e diventa molto fredda. Èsse = infinito breve di èsser. [F]fréddo = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rf > ff. Marmàto = come il marmo. Pron. èssé ffréddó marmató.

esse ffora de la via de ddio

ÈSSE FFÓRA DE LA VÌA DE DDDÍO

(Essere fuori della via di Dio), è come dire uscire dal seminato. Èsse = infinito breve di èsser.       [F]fóra = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rf > ff. Per le parole derivate dal latino l’aretino è più conservativo dell’italiano: mantiene infatti la o tonica originaria che assume suono chiuso: latino foras > italiano fuori > aretino fóra. De = tipica preposizione aretina per di. [D]dìo = la geminazione della d serve ad una pronuncia più agevole. Pron. èssé ffóra dé la via dé Ddió.

esse ffurbo come 'na lasca

ÈSSE FFÙRBO CÓME ’NA LÀSCA


(Essere molto furbi), è una variante di èsse ffùrbo cóme ’na vólpe. Èsse = infinito breve di èsser. [F]fùrbo = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue  rf > ff. Làsca = piccolo pesce di acqua dolce. È un modo di dire strano perché la lasca in realtà si lascia catturare con molta facilità dimostrando di non essere per niente furba. Pron. èssé ffurbi kómé ’na laska, vólpé.

esse ggrande, gross' e coglione

ÈSSE GGRÀNDE, GRÒSS’E COGLIÓNE


(Essere grande, grosso e fesso). Si dice di una persona che vale poco e gode di poca stima, un quaquaraquà. Èsse = infinito breve di èsser. [G]grànde = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rg > gg. Coglióne = fesso. Pron. èssé ggrandé, gròss’ é kóglióné.

esse l' ucello del malagurio

ÈSSE LL’UCÈLLO DEL MALAGÙRIO

(Essere l’uccello del malaugurio). Si dice in genere di persone eccessivamente pessimistiche che non fanno altro che profetizzare guai. Èsse  =  infinito breve di èsser. [L]l’ = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonanate che immediatamente segue rl > ll. Ucèllo = la mancanza di una c è dovuta al tipico fenomeno aretino della degeminazione. Malagùrio = malaugurio con sincope di u. Pron. èssé ll’uȼèlló  dél malagurió.

esse mmezzo

ÈSSE MMÉZZO


(Essere maturo).  La frase si usa sia in senso concreto per indicare la frutta matura, sia in senso metaforico per le persone che sono affaticate, quasi esauste per il duro lavoro. Èsse = infinito breve di èsser. [M]m = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rm > mm. [M]mézzo = maturo. La parola ha un’origine dotta essendo la traformazione del latino mitius, comparativo di mitis = mite che in italiano si usa sia in riferimento al tempo che al carattere e all’indole di una persona, ma mitis in latino significa anche morbido, tenero, quindi il comparativo  è più tenero, proprio come la frutta matura. Pron. èssé mmézzó.

esse nna merda secca

ÈSSE NNA MÈRDA SÈCCA

(Essere un escremento secco). È una considerazione molto colorita, detta in genere con compatimento, rivolta a persona della quale non si ha nessuna stima. Èsse = infinito breve di èsser. [N]na = aferesi di una. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rn > nn. Mèrda = è sempre preferito agli altri sinonimi che di solito si usano in italiano. Pron. èssé nna mèrda sékka.

esse nna mezza sega

ÈSSE NNA MÈZZA SÈGA


(Essere una persona di scarso pregio). Il significato al modo di dire è dato dalla parola sega nel senso di masturbazione maschile non portata a conclusione. Èsse = infinito breve di èsser. [N]na = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonanante che immediatamente segue rn > nn. Pron. èssé nna mèʑʑa séga.

esse nna pappa molla

ÈSSE ’NNA PÀPPA MÒLLA

(Essere una persona debole nel fisico o nel carattere). Èsse = infinito breve di èsser. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rn > nn. ’Nna = assimilazione rn > nn con concrezione della forma aferetica dell’articolo ’na = una. Mòlla = bagnata. Nel mondo contadino di un tempo non si buttava nulla: la pappa si faceva con il pane duro di recupero che veniva messo in ammollo per ammorbidirlo prima di cuocerlo. Pron. èssé ’nna pappa mòlla.

esse nno sgriccelo

ÈSSE NNO SGRÌCCELO


(Essere uno scricciolo). Si dice di una persona dalla corporatura minuta. Èsse = infinito breve di èsser. [N]no = aferesi di uno. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rn > nn. Sgrìccelo = forma aretina di scricciolo, uccello passeriforme di piccole dimensioni. Pron. èssé nnó ʃgriccéló.

esse ppadroni del bacellaio

ÈSSE PPADRÓNI DEL BACELLÀIO


(Essere padroni assoluti). La frase si attribuisce a chi ha il comando o la proprietà. Quando si domanda ‟chi è ’l padróne del bacellàio”? si intende dire infatti: ‟ chi è il proprietario”? Èsse = infinito breve di  èsser. [P]padróni = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rp > pp. Bacellàio = campo di baccelli che rappresenta metaforicamente la proprietà o il potere. La mancanza di un a c si spiega con la degeminazione. Pron. èssé ppadróni dél baȼéllaió.

esse ppeso spiombato

ÈSSE PPÈSO SPIOMBÀTO


(Essere peso come il piombo). Si dice di tutto ciò che pesa oltre il dovuto. Èsse = infinito breve di èsser. [P]péso = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rp > pp. Spiombàto = aggettivo coniato da piombo con prefisso s intensiva. Pron. èssé ppésó spiómbató. 

esse ppiù duri d' un rapo de chiana

ÈSSE PPIÙ DÙRI D’UN RÀPO DE CHIÀNA

(Essere più duri di una rapa di Chiana).  È un modo di dire molto usato. Si dice di chi stenta a capire. Èsse = infinito breve di èsser. [P]più = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rp > pp. Ràpo = rapa: in aretino esite solo la forma maschile. De = tipica preposi- zione aretina per di. Chiàna = è la valle percorsa dall’omonimo canale. Il gruppo chia ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Pron. èssé ppiù duri d’un rapó dé Čana. [Nella pronuncia con simboli la i non viene trascritta perché compresa nel suono č].

esse ppieno com' un ovo

ÈSSE PPIÉNO CÓM’UN ÓVO


(Essere pieno come un uovo). Si dice in genere quando si è mangiato tanto da non poterne più. È un modo di dire strano perché l’uovo non è affato pieno. Basta infatti scuoterlo per accorgersi che il liquido interno ha sufficiente spazio per muoversi. Èsse = infinito breve di èsser. [P]più = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rp > pp. Óvo = per le parole derivanti dal latino l’aretino è più conservativo dell’italiano mantenendo la o tonica latina che assume suono chiuso: latino ovum > italiano uovo > aretino óvo. Pron. èssé ppiénó kóm’un óvó.

esse ppiù buffo de le stacce

ÈSSE PPIÙ BÙFFO DE LE STÀCCE


(Essere più buffo dei setacci). Si dice di chi ama giocare e scherzare. Èsse = infinito breve di èsser. [P]più = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rp > pp. De le = delle. In aretino le preposizini articolate sono sempre pronunciate staccate e degeminate. Es: allo > a lo. Stàcce = setacci. È un deverbale da setacciare con epentesi di e e passaggio al genere femminile. Pron. èssé ppiù buffó dé lé staccé.

esse più furbo d' un gatto nero

ÈSSE PPIÙ FÙRBO D’UN GÀTTO NÉRO

(Essere più furbo di un gatto nero), cioè molto furbo. Il gatto, come altri animali, entra spesso nei proverbi e nei modi di dire, ma non è chiaro perché quello nero dovrebbe essere più furbo degli altri. In genere il gatto nero è associato a sfortuna, negatività, magìa, stregonerie tanto che nel medioevo veniva spesso arso sul rogo. Èsse = infinito breve di èsser. [P]più = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rp > pp. Pron. èssé ppiù furbó d’un gattó néró.


esse ppovero trito

ÈSSE PPÓVERO TRÌTO

(Essere molto povero). Era un proverbio molto di moda nel dopoguerra quando la povertà era molto diffusa, ma ancora oggi non si scherza. Èsse = infinito breve di èsser. [P]póvero = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonanate che immediatamente segue rp > pp. Trìto = participio breve per tritato. L’aretino predilige i participi brevi. Es: comprato > cómpro. Pron. èssé ppóvéró tritó.

essere 'gnorante come na' miccia

ÈSSERE ’GNORÀNTE CÓME ’NA MÌCCIA


(Essere ignorante come un’ asina). Si dice di chi stenta a capire o di chi si intestardisce. ’Gnorànte = aferesi di ignorante, qui usato nel significato di testardo. ’Na = aferesi di una. Mìccia = tipico termine aretino che identifica la femmina dell’asino. Pron. èsséré ’gnóranté kómé ’na miccia.

essere 'n diviso de

ÈSSERE ’N DIVÌSO DE


(Essere in diviso di), cioè avere in mente, proporsi di fare qualcosa. Era un modo di dire molto usato in passato, oggi in po’meno. Si dice quasi in tono di scusa per assicurare la persona con cui stiamo parlando che, nonostante le apparenze, non abbiamo intenzione di fare nulla di male a lei o ad altri. De = tipica preposizione aretina per di. Pron. èsséré ’n diviʃó dé.

essere 'nghietro quante le martinicche

ÈSSERE ’NGHIÉTRO QUÀNTE LE MARTINÌCCHE DA BARÒCCIO

(Essere arretrati come i freni di un carro agricolo). È un modo di dire in aretino stretto usato sempre in senso metaforico, rivolto a chi non è al passo con i tempi, ha un modo di vivere arretrato. ’Nghiétro = indietro, forma aferetica di inghiétro. Il gruppo ghie invece di die si deve al fatto che in aretino la d di dietro ha un suono tra d e g con prevalenza di g  e pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Martinìcche = freno a ceppi per carri agricoli azionato da una leva o da una manovella. La parola martinìcca ha un’origine particolare: sembra infatti che derivi dal latino medioevale Martinetus, presunto nome dell’inventore del congegno. Baròccio = variante aretina del toscano barroccio-biroccio. Si dice anche èssere ’nghiétro quànte le vìe da pòggio. Le vie di collina o di montagna del passato erano sempre sterrate, con buche e curve molto strette e quindi di difficile percorrenza anche per i carri che procedevano lentamente. Pron. èsséré ’n ĝétró kómé lé martinikké da baròcció, kuanté lé vié da pòggió. [Nella scrittura con simboli la i non viene trascritta in quanto già compresa nel suono ĝ].

essere 'nguastito

ÈSSERE ’NGUASTÌTO


(Essere arrabbiatissimo). ’Nguastìto =  forma aferetica di inguastìto = guastato, nel senso di non essere più normale, in questo caso a causa dell’ira. Pron. èsséré ’nguastitó.

essere ' no scemo de guerra

ÈSSERE ’NO SCÉMO DE GUÈRRA

(Essere uno scemo di guerra). Si dice con tono ironico o compassionevole di chi stenta a connettere. Il modo di dire è nato nel secondo dopoguerra, quando effettivamente si registravano vari casi di demenza dovuti alla paura dei pericoli e soprattutto dei bombardamenti. Oggi viene usato per lo più per schernire una persona di cui si ha scarsa considerazione. De = tipica preposizione aretina per di. Pron. èsséré ’nó scémó dé guèrra.

esse rrosso com' un billo

ÈSSE RRÓSSO CÓM’UN BÍLLO


(Avere la faccia rossa come un tacchino), di solito per la vergogna. Èsse = infinito breve di èsser. [R]rósso = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue. In questo caso le consonanti sono identiche in quanto rosso inizia per r. Bìllo = tacchino. Si tratta di una voce onomatopeica costruita sul suono emesso dall’animale. Pron. èssé rróssó kóm’un billó.

esse ttra l' usci' e 'l muro

ÈSSE TTRA L’ÚSCI’ E ’L MÙRO

(Essere tra l’uscio e il muro). Si usa in senso figurato. Significa vivere una situazione molto precaria: è come dire trovarsi tra l’incudine e il martello. Èsse = infinito breve di èsser. [T]tra = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamete segue rt > tt. Úsci’ = apocope di uscio. In aretino è sempre preferito a porta. ’L = aferesi di el, tipico articolo aretino. Uscio e muro rappresentano metaforicamente gli ostacoli da superare. Pron. èssé ttra l’usci’ é ’l muró.

esser' un leccaculo

ESSER’UN LECCACULO

(Essere una persona viscida e oltremodo servizievole). Leccacùlo = parola composta dal verbo leccare e culo. Cùlo è sempre preferito a sedere o sinonimi. Pron. èssér’n lékkaculó.

essere 'no strullin' a rotelle

ÈSSERE ’NO STRULLÌN’ A ROTÈLLE

(Essere una persona con poco giudizio, che non vale niente). Si dice di chi ha un comportamento che esula dalla normalità. Strullìno = diminutivo di strullo, termine toscano per sciocco. Rotèlle =  entrano nel modo di dire probabilmente per indicare lo spostamento dalla norma. Pron. èsséré ’no strullin’a rótèllé.

esser' un mangiapan' a tradimento

ÈSSER’UN MANGIAPÀN’A TRADIMÉNTO


(Essere un mangiapane a tradimento). Si dice di chiunque cerchi di campare alle spalle degli altri, facendosi mantenere. Pron. èssér’un mangiapan’a tradiméntó.

esser' uno fatto e misso li

ÈSSER’ÙNO FÀTT’E MÌSSO LÌ


(Essere uno fatto e messo lì). Si dice di un quacquaraqua, di persona che vale poco o niente, che non si dà da fare, che non ha iniziativa. Mìsso =  messo. Nelle parole derivanti dal latino l’aretino è più conservativo dell’italiano: mantiene infatti la i tonica originaria: latino missum > italiano messo > aretino mìsso. Pron. èssér’unó fatt’é missó lì.

esse ssecco com' un balistruccio

ÈSSE SSÉCCO CÓM’UN BALISTRÚCCIO

(Essere molto secco). È un modo di dire che proviene dal mondo contadino dove molto spesso i paragoni sono fatti con gli animali. Èsse = infinito breve di èsser. [S]sécco = quando l’infinito è breve la r  della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rs > ss. Balistrùccio = tipo di rondine. La i si spiega con il fatto che in molte parole la e protonica italiana passa in aretino ad i. Si dice anche èsse ssécco cóm’un ùscio. Pron. èssé ssékkó kóm’un balistrucció, usció.

esse ssuddecio com' un baston da polaio

ÈSSE SSÙDDECIO CÓM’UN BASTÓN’ DA POLÀIO

(Essere sudicio come un bastone da pollaio). È un modo di dire in aretino stretto di origine contadina che si usa in senso metaforico. Significa essere molto sporco e mandare cattivo odore. Èsse = infinito breve di èsser. [S]sùddecio = sudicio: quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rs > ss. La e postonica  al posto della i italiana è una tipicità dell’aretino.Quando questo avviene, di solito si ha anche la geminazione della consonante che precede d > dd. Es: manico > mànneco. Polàio = pollaio con degeminazione di l. Pron. èssé ssuddéȼió kóm’un bastón’ da pólaió. 

esse ttutto 'n ghingheri

ÈSSE TTÙTTO ’N GHÍNGHERI


(Essere adornato o vestito in modo elegante). Èsse = infinito breve di èsser. [T]tutto = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rt > tt. [T]ùtto = tutto: è pleonastico, ma in aretino viene usato molto spesso come rafforzativo. Ghìngheri = deverbale dal toscano agghingare = agghindare. Pron. èssé ttuttó ’n ghinghéri.

esse ttutto cul' e camicia

ÈSSE TTÙTTO CÙL’E CAMÌCIA


(Avere molte affinità). Si dice di persone che si trovano bene insieme o di fidanzati che si amano alla follia. Èsse = infinito breve di èsser. [T]tùtto = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rt > tt. Cul’ = è  sempre  preferito a  sedere. Pron. èssé  ttuttó kul’ é kamiȼia.

esse ttutto cul' e penne

ÈSSE TTÚTTO CÙL’E PÉNNE, CÓME L’UCÈLLI DE NÌDO


(Essere particolarmente fortunato). Si dice di chiunque abbia ottimi risultati e se ne vanti senza merito alcuno. L’immagine è ripresa dal mondo degli uccelli dove effettivamente i nati ingrassano perché imbeccati premurosamente dai genitori. Èsse = infinito breve di èsser. [T]tùtto = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rt > tt. L’ = forma apocopata dell’antico articolo li per gli. Ucèlli = la mancanza di una c si spiega con il fenomeno della degeminazione tipica del dialetto aretino. De = tipica preposizione semplice aretina per di. Pron. èssé ttuttó kul’é penné kómé l’uȼèlli dé nidó. 

esse vvecchio più del cucco

ÈSSE VVÈCCHIO PIÙ DEL CÙCCO


(Essere molto vecchio). Si dice di persone molto in là con gli an- ni. Èsse = infinito breve di èsser. [V]vèchio = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rv > vv. Il gruppo cchio ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Cùcco = probabilmente si tratta della forma aferetica del personaggio biblico [Haba]cuc,  con co paragogica, noto per la sua longevità. Pron. èssé vvèččó più dél kukkó. [Nella scrittura con simboli la i non viene trascritta perché già compresa nella pronuncia di č]. 

esse vvecchi transiti

ÈSSE VVÈCCHI TRANZÌTI

(Essere molto vecchi). Si dice di persone veramente anziane che per la loro età dovrebbero essere già morte, magari sono piene di malanni, ma rimangono ancora attaccate alla vita. Èsse = forma breve di èsser. [V]vècchi = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rv > vv. Il gruppo cchi ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Tranzìti = è il participio del verbo tranzìre usato qui in funzione aggettivale. È la chiave del modo di dire: deriva dal latino trans = al di là e ire = andare, quindi andare al di là, cioè nel mondo dei più. La z si spiega con il fatto che i gruppi italiani ls, ns, rs, in aretino sono sempre pronunciati lz, nz, rz. Pron. èssé vvèčči tranziti.