lunedì 3 ottobre 2016

sè brutto com'el fei

SÈ BRÙTTO CÓM’ EL FÈI o PIÙ DEL FÈI

(Sei più brutto di un saraceno). La frase è rivolta a persone di aspetto repellente. = seconda persona singolare del presente indicativo del verbo essere aretino = sei (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). El = tipico articolo aretino per il. Fèi = personaggio immaginario che evoca una saraceno. Pron. sè bruttó kóm’él Fèi. 

sè coglion' anco s'arnaschi

SÈ COGLIÓN’ ÀNCO S’ARNÀSCHI


(Sei fesso anche se rinasci). È un modo di dire espresso in aretino stretto. Si dice, a seconda delle occasioni, con tono bonario o di rimprovero a chi si lascia sempre imbrogliare. = seconda persona singolare del presente indicativo del verbo essere = sei, (per  approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Cogliòn’ = la parola in aretino ha vari significati a seconda del contesto in cui è inserita: qui è usata come sinonimo di fesso. Ánco = tipica congiunzione aretina per anche. Arnàschi = rinasci. Rispetto alla forma italiana quella aretina presenta due fenomeni interessanti: il prefisso iterativo è ar invece di ri e il suono fricativo sibilante della desinenza sci è trasformato in suono velare chi. Pron. sè kóglión’ankó s’arnaski. 

sè duro com'un rapo de Chiana

SÈ’ DÚRO CÓM’UN RÁPO DE CHIÁNA

(Sei duro come una rapa di Chiana).  Si dice con tono di risentimento o di rimprovero a chi non capisce o fa finta di non capire. Sè’ è la forma apocopata della seconda persona del presente indicativo del verbo essere = sei (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Ràpo è un metaplasmo: in aretino il cambio di declinazione rispetto ai termini italiani è un fenomeno piuttosto frequente. Es: rapa > ràpo, mano > màna. Pron. sé’ duró kóm’un rapó dé Čana. [Nella pronuncia con simboli la i non viene trascritta perché compresa nel suono č].

se lavora e se fadiga pe' la panci'e pe la fica

SE LAVÓR’ E SE FADÌGA PE’ LA PÁNCI’ E PE’ LA FÌCA

(Si lavora e si fatica per soddisfare le esigenze del corpo e quelle della donna). Indubbiamente sono due aspetti della vita di cui non si può fare a meno.  È un modo di dire espresso in aretino stretto con parole ritenute volgari, ma occorre ricordare che i dialetti sono molto più spontanei della lingua nazionale. Se = le particelle pronominali in aretino sono mé, té, cé, sé, vé. Fadìga = fatica, fenomeno di doppia lenizione t > d e c > g. Pe’ = forma apocopata di pér. Pron. sé lavór’é sé fadiga pé’ la panci é pé la fika.

se mangia quel che pass'el convento

SE MÀNGIA QUÉL CHE PÀSS’EL CONVÈNTO


(Si mangia quello che passa il convento), cioè quello che c’è. È un modo di dire che viene dal lontano passato. Nelle famiglie contadine di un tempo a volte il cibo scarseggiava o era di scarsa qualità e ci doveva arrangiare, ma i giovani non accettavano di buon grado la situazione e allora i vecchi li redarguivano con questa frase. Se = si. Analogamente alle  particelle pronominali, anche il si impersonale in aretino è pronunciato sé. El = tipico articolo aretino per il. Pron. sé mangia kuél ké pass’él kónvèntó.

semo pe' le buche

SÉMO PÉ’ LE BÙCHE


(Stiamo camminando sulle buche, cioè viviamo una situazione precaria, pericolosa). È un modo di dire espresso in aretino stretto che si dice ogni volta che ci troviamo in difficoltà. Sémo = tipica prima persona plurale del presente  indicativo del verbo essere aretino = siamo (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Pe’ =  forma apocopata di r. Di solito nelle forme apocopate, come nel caso dell’infinito, la consonante finale si assimila a quella che immediatamente segue rl = ll, in questo caso si ha un’eccezione perché pe e le sono pronunciate staccate e  il fenomeno non si manifesta. Pron. sémó pé’ lé buké.

sè 'no stronz' anco s'arnaschi

SÈ ’NO STRÓNZ’ÁNCO S’ARNÁSCHI

(Sei uno stronzo anche se rinasci). È un insulto in un aretino molto colorito diretto ad una persona dalla quale abbiamo ricevuto una cattiva azione. Sè = seconda persona singolare del presente indicativo del verbo essere = sei. Ánco = è la versione aretina dell’italiano anche. Arnàschi = in aretino il prefisso iterativo è ar invece di ri. Nella seconda persona singolare del presente indicativo del verbo nascere l’aretino sostituisce il suono fricativo sibilante sci dell’italiano con il suono velare ki, (per appronfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Pron. sé ’nó strónz’ankó s’arnaski.


sè più coglion de le luccele che fen lume dal culo

SÈ PIÙ COGLIÓN’ DE LE LÙCCELE CHE FÈN LÙME DAL CÙLO

(Sei più fesso delle lucciole che fanno luce dal sedere). È un modo di dire espresso in aretino stretto. Nei proverbi e nei modi di dire popolari il paragone con gli animali è frequente poiché molti sono elaborati dalla civiltà contadina. In questo caso viene evidenziato un apparente paradosso perché è nella natura delle lucciole emettere luce dalla parte terminale del corpo. = sei. La coniugazione aretina del verbo essere è diversa da quella italiana (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Cogliòn’ = fesso. De  le =  delle: in aretino le preposizioni articolate sono sempre pronunciate staccate e degeminate. Es: della > de la, dello > de lo. Lùccele = la e  è dovuta al fatto che la o postonica italiana in aretino passa ad e chiusa  soprattutto se preceduta da consonante doppia. In questo caso si ha anche la sincope di i.  Fèn = forma apocopata di fèno = fanno. La e si spiega con il fatto che nell’aretino del passato la a tonica italiana passava sempre ad e aperta. Es:  pàne > pène. Oggi questo fenomeno è scomparso. La mancanza di una n è dovuta al fenomeno tipico aretino della degeminazione. Lùme  = nell’aretino stretto è sempre preferito a luce. Cùlo = è sempre preferito a sedere. Pron. sè più kóglión’ dé lé luccélé ké fèn lumé dal kuló.


sè più lercio de bobo schifo

SÈ PIÚ LÉRCIO DE BÓBO SCHÍFO


(Sei più lercio che più lercio non si può). Era il rimprovero che i nostri nonni rivolgevano ai loro figli quando tornavano a casa  molto sporchi. = seconda persona singolare del presente indicativo del verbo essere = sei. De è il corrispondente della preposizione semplice italiana di. Bóbo Schìfo = nome immaginario che rappresenta il massimo della sporcizia. La parola bóbo in aretino significa orco, ma si usa anche per indicare qualunque insetto di cui non si conosce il nome.  Il gruppo chi di schifo ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Pron. sè più lérció dé Bóbó Sčifó. 

sè più matto de la fiurina

SÈ PIÚ MÁTTO DE LA FIURÍNA


(Sei più matto di una capra). Nel modo di dire la Fiurina è probabilmente il soprannome dato ad una donna che non era troppo sana di mente. In realtà la fiurina è un tipo di capra tipico del Piemonte. Non si sa da quanto tempo il modo di dire sia in uso nell’aretino. Oggi viene adoprato in modo generico per additare tutti quelli che hanno un comportamento anomalo. = sei. De la = della. In aretino le preposizioni articolate sono sempre pronunciate staccate e degeminate. Es: alla > a la, nello > ne lo. Pron. s’è più mattó dé la Fiurina.

s'è trovo 'l duro

S’È TRÓVO ’L DÙRO


(Abbiamo trovato un ostacolo difficile da superare). Si dice anche s’è tròvo la sagglìta. Sono modi di dire espressi in aretino stretto. Tróvo  =  trovato. L’aretino predilige i participi brevi. Es: comprato = cómpro.L = aferesi di el, tipico articolo aretino per il. Sagglìta = salita. Il gruppo ggli si spiega con il fatto che la l italiana spesso in aretino assume suono laterale prepalatale. Qui si ha anche il fenomeno della geminazione. Es: Italia > Itagglia.  Pron. s’è tróv’él duró.

sette mancini un furon capaci de sbarbar'un rapo

SÈTTE MANCÌNI UN FÙRON CAPÀCI DE SBARBÀR’UN RÀPO

(Sette mancini non furono capaci di sradicare una rapa). È un modo di dire che tende a screditare i mancini e forse trova origine nel fatto che gli strumenti da lavoro nel passato erano costruiti solo per i destri, quindi i mancini si trovavano in qualche modo sfavoriti e, nelle varie attività, risultavano meno abili e meno attivi. Un = tipica negazione aretina per non. De = preposizione aretina per di. Sbarbàr’ = forma apocopata di sbarbàre = sradicare. È un verbo denominale da bàrba = radice. Ràpo = rapa. È un metaplasmo: in aretino esiste solo la forma maschile. Pron. sètté mancini un furón kapaȼi dé ʃbarbar’un rapó.

si ce vu icce, icce, si ce vu ire un c'ire

SI CE VU ÍCCE, ÍCCE, SI ’N CE VU ÍRE ’N C’ÍRE

(Se ci vuoi andare, vacci, se non ci vuoi andare non andarci).  È una sorta di scioglilingua nel dialetto aretino più stretto. Si è una congiunzione condizionale corrispondente all’italiano se. Ce è avverbio di luogo corrispondente all’italiano ci. Vu è la seconda persona singolare dell’indicativo del verbo volere, analogamente al verbo potere = pu (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Si tratta in sostanza di forme apocopate. Ícce è allo stesso tempo infinito formato dal verbo breve ir + ce = andare lì,  con assimilazione rc > cc e imperativo. ’N = forma aferetica della negazione aretina un per non. Nell’aretino stretto il verbo andare è presente in tre forme: ìre, gìre, vìre. Pron. si ȼé vu iccé, iccé, si ’n cé vu iré, ’n c’iré.

si ferraio un ferra marzo spella

SI FERRÀIO UN FÈRRA MÀRZO SPÈLLA


(Se febbraio non è freddo lo sarà marzo). Si dice di solito quando abbiamo un febbraio particolarmente mite attendendoci una venuta tardiva del freddo. Si = congiunzione condizionale per se. In particolare quando in italiano si ha la successione se-si, in aretino si ha l’inversione si-se. Ferràrio = forma sincopata di febbraio. Un = tipica negazione aretina per non. Fèrra = non è di ferro e in senso metaforico non fa freddo. Spèlla = toglie la pelle, naturalmente a causa del freddo. Pron. si férraió un fèrra, marzó spèlla.

si 'l mi' nonno aiva le rot' er' un carretto

SI ’L MI’ NÒNNO AÌVA LE RÓT’ÉR’UN CARRÉTTO

(Se mio nonno avesse le ruote, sarebbe stato un carretto). La frase si usa di solito per confutare un discorso o una situazione. Si =congiunzione ipotetica per se. ’L = aferesi di el, tipico articolo aretino per il. Mi’ = è tipico dell’aretino apocopare gli aggettivi possessivi. Aìva, éra = imperfetto indicativo del verbo avere ed essere. I dialetti di solito hanno un modo di esprimersi molto incisivo ed immediato. Anche l’aretino segue questo principio per cui non viene seguita la consecutio temporum italiana e le frasi ipotetiche si costruiscono con l’indicativo sia nella protasi che nell’apodosi. Pron. si ’l mi’ nònnó aiva lé rót’ér’un karréttó.

si lo vu lo pu

SI LO VÚ LO PÚ


(Se lo vuoi lo puoi). È un modo di dire espresso nell’aretino più stretto. Si = congiunzione condizionale corrispondente all’italiano se. e sono forme apocopate delle seconde persone singolari del presente indicativo dei verbi potere e volere = vuoi, puoi (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Pron. si ló vu’ ló pu’.

si me salta lo schiribizzo

SI ME SÀLTA LO SCHIRIBÌZZO!


(Se mi prende l’idea di, se ho voglia di). Si dice rivolgendoci, spesso con tono minaccioso, a chi ci infastidisce o ci vorrebbe impedire di compiere un’azione. Si = la congiunzione condizionale  italiana se in aretino si pronuncia sempre si. In  particolare la successione italiana se-si in aretino viene invertita: se - si > si - se. Schiribìzzo = è la pronuncia aretina di ghiribizzo = stranezza. La parola aretina si differenzia per avere il prefisso s intensivo e la desonorizzazione ghi > chi. Pron. si mé salta ló skiribiʑʑó.

sirà, disse pisello, ma io ce credo poco

SIRÀ, DÌSSE PISÈLLO, MA IO CE CRÈDO PÓCO

(Sarà, disse Pisello, ma io ci credo poco). È un modo di dire in aretino stretto. Si dice quando siamo scettici su ciò che ci viene raccontato. Sirà = sarà. È una forma verbale oggi in disuso, sostituita dalla voce italiana. Pisèllo = nome immaginario. Ce = ci. L’avverbio di luogo italiano ci in aretino è sempre pronunciato ce. Pron. sirà, dissé Piʃèlló, ma ió ȼé krédó pókó.

sirvito sul cosciotto

SIRVÍTO SUL COSCIÒTTO

(Servito sul cosciotto), cioè nel modo migliore. È una frase tipica dei macellai entrata a far parte del linguaggio comune. Deriva dal fatto che il coscio del vitello è uno dei tagli migliori e più ricercati dal buongustaio. Sirvìto è il participio passato del verbo sirvìre. In alcuni casi la e protonica passa ad i, perché l’aretino predilige all’interno di una parola suoni identici o simili. Questo fenomeno si chiama armonia vocalica. Cosciòtto è il diminutivo di còscio. Pron. sirvitó sul kósciòttó.

si un'è vecchio e un ce crede a la saglita se n'avede

SI UN’È VÈCCHIO E ’N CE CRÉDE, A LA SAGGLÌTA SE N’AVÉDE

(Se uno è vecchio e non ci crede alla salita se ne avvede). È un proverbio in aretino stretto che si usa per lo più in senso metaforico. Nessuno vorrebbe invecchiare, ma ci sono delle cose che ci mettono di fronte all’evidenza. Gli anziani del passato, molto spesso per necessità, erano costretti a lavorare fino a tarda età, oggi, per fortuna, molte cose sono cambiate in meglio. Si = la congiunzione condizionale in aretino si pronuncia sempre se. Vècchio = il gruppo cchio ha pronuncia occlusiva postpalate sorda. ’N = aferesi di un, tipica negazione aretina per non. A la = le preposizioni articolare sono sempre pronunciate staccate e degeminate. Es: dello > de lo. Sagglìta = salita. La l italiana assume nella parola aretina pronuncia laterale prepalatale con geminazione l > ggl [ľľ]. Avéde = avvede, fenomeno di degeminazione. Pron. si un’è vèččó é ’n cé krédé, a la sagglita [saľľita] sé n’avédé. [Nella scrittura con simboli la i non viene trascritta perché compresa nel suono č].


so na sega s'il domo fa cura

SO ’NA SÉGA S’EL DÓMO FA CÙRA

(Non so se il duomo è una parrocchia). È una frase che va interpretata in senso metaforico perché in realtà significa non so che dire, non so rispondere ed infatti nel passato era la risposta che si dava quando non si sapeva cosa effettivamente rispondere. Séga = in aretino si intende la masturbazione maschile, ma nei modi di dire assume vari significati a seconda del contesto. In questo caso rafforza la negazione, è un po’ come dire non so proprio. El = tipico articolo artino per il. Dómo = duomo, cattedrale della città. La o invece del dittongo italiano uo si spiega con il fatto che il dialetto aretino è per le parole derivanti dal latino più conservativo dell’italiano. Duomo deriva infatti dal latino domus (dei) = casa (di Dio). La o di domus ha come esito in italiano il dittongo uo mentre l’aretino mantiene la o che assume suono chiuso: latino domus > italiano duomo > aretino dómó. Cùra = parrocchia. Il dubbio espresso dal modo di dire deriva dal fatto che la parrocchia è gestita da un parroco, mentre il duomo è la sede in cui opera il vescovo, quindi è un po’ come chiedersi, ma anche se c’è il vescovo è una parrocchia? Pron. so ’na séga s’él dómó fa kura.


son cazzi da cacare

SÓN CÀZZI DA CACÀRE


La frase, molto colorita, si usa ogni volta che ci troviamo in difficoltà, è come dire i problemi da risolvere sono molto difficili. Càzzi = la parola in aretino è di uso corrente e si trova spesso anche nei modi di dire e nei proverbi. Ciò si spiega con il fatto che i dialetti sono immediati e molto coloriti e usano spesso parole che in italiano sono ritenute sconvenienti o volgari. Cacàre = per lo stesso motivo nell’uso quotidiano cacàre è preferito a defecare. Pron. són kazzi da kakaré. 

son cazzi tua

SÓN’ CÀZZI TÚA

(Sono affari tuoi), cioè non me ne importa niente, sbrigatela da solo. È un modo di dire molto usato. Càzzi = la parola cazzo in aretino è sempre preferita a pene ed entra molto spesso nei proverbi assumendo di volta in volta significati diversi. Tùa = tipica forma aretina dell’aggettivo possessivo per tuoi. Si usa anche per indicare genitori, famiglia, parenti: cóme stàn’i tua? = come stanno in tuoi genitori, la tua famiglia?  Stàn’ forma apocopata e degeminata per stànno. Pron. són’ kazzi tua, kómé stan’i tua?

son du' anneme meno un noccelo

SÓN’ DU’ ÀNNEME MÉN’UN NÒCCELO


(Sono due anime meno un nocciolo). Si dice di due o più persone che hanno tra loro molte affinità, o degli innamorati. Com’è strutturato attualmente il modo di dire non è che abbia un grande sinificato, forse, com’è successo in altre occasioni, si è modificato nel corso del tempo pur mantenendo il senso originale che doveva essere són du’ ànneme drént’a ’n nòccelo, cioè sono due anime racchiuse nello stesso nocciolo, nello stesso involucro. Són = forma apocopata di sono. Du’ = forma apocopata di dùa = due. Ánneme = anime. La doppia n è dovuta al fenomeno della geminazione. La e si spiega con il fatto che in molte parole la i postonica italiana passa in aretino ad e chiusa. Drénto =  metatesi di dentro. Nòccelo = nocciolo. In aretino il dittongo postonico italiano io passa spesso ad e chiusa, es: picciolo > pìccelo. Pron. són du’ annéme mén’un nòccéló.

sonè ll'istessa malintesa

SONÈ LL’ISTÉSSA MALINTÉSA


(Suonare sempre la stessa canzone e in modo strampalato). È una frase in aretino stretto che viene da lontano. Nel mondo contadino del secondo dopoguerra una delle ricorrenze fisse annuali era la battitùra (trebbiatura del grano). Era un’ operazione indispensabile se si voleva mangiare durante l’inverno ed allo stesso tempo un’occasione per socializzare e per fare festa. Infatti, quando la battitura era terminata, dopo la cena, si ballava nell’aia al suono dell’organìno (fisarmonica). A quei tempi i suonatori erano autodidatti e suonavano ad orecchio. Spesso conoscevano solo poche canzoni che eseguivano in modo maldestro: da qui il modo di dire. La frase ha assunto poi anche un significato astratto, cioè ripetere sempre le stesse stupidaggini. Sonè = infinito breve di sonère. La o si spiega con il fatto che per le parole derivate dal latino l’aretino è più conservativo dell’ italiano: mantiene infatti la o originaria che assume suono chiuso: latino sonare > italiano suonare > aretino sonàre. La desinenza ère anziché are è tipica dell’aretino stretto. [L]l’ = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rl > ll. Istéssa = all’aggettivo stesso l’aretino premette una  i prostetica. Malintésa = è la concrezione di male intesa. Pron. sónè ll’istéssa malintésa.

sono scherzi del cazzo

SÓNO SCHÉRZI DEL CÀZZO

(Sono scherzi da villano, triviali, pesanti, inaccettabili). È una frase con cui si intende redarguire chi fa scherzi indesiderati e poco urbani. Cazzo = le parole ritenute sconvenienti o volgari nella lingua italiana, sono nei dialetti di uso molto comune. Pron. sónó skérzi dél kazzó.  

spuntar'el baco

SPUNTÁR’EL BÁCO


(Spuntare il baco, cioè liberarsi in modo definitivo di un impiccio o una malattia). Nella veste attuale il modo di dire non ha senso. La frase originale doveva probabilmente essere sputàr’ el bàco, cioè espellere il danno. Non è raro che in un modo di dire venga modificata la parola che dava il senso all’intera frase. (Cfr. andare a tutta birra, dove la parola originale era briglia). El = articolo aretino per il. Pron. spuntar’él bakó.

'sta facenda me scompone

’STA FACÈNDA ME SCOMPÓNE

(Fare questo lavoro mi scomoda, mi reca fatica). È una frase in aretino stretto che di solito si usa quando siamo avanti con gli anni e siamo affaticati per un lavoro che da giovani facevamo senza problemi. ’Sta = forma aferetica  per questa. Facènda = faccenda. La mancanza di una c è dovuta al fenomeno della degeminazione.   Me =  le particelle pronominali in aretino sono mé, té, cé, sé, vé. Scompóne = è qui usato nel senso di affaticare. Pron. ’sta faȼènda mé skómpóné.


sta li a fagni le seghe

STA LÌ A FÀGGNI LE SÉGHE

(Sta lì senza combinare niente). Si dice quando in un lavoro una persona ottiene poco o niente, insomma perde soltanto tempo. Fàggni = forma aretina per fargli composta da far e ggni. Quando  l’ infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rg > gg. In aretino gni traduce i complementi di termine italiani gli, le, a lui, a lei, loro. Séghe = allusione alla masturbazione maschile che qui assume il significato di perdita di tempo. Pron. sta li a faggni lé séghé.

star' a gobboni

STÀR’ A GOBBÓNI

(Stare piegati e con la schiena arcuata). Si dice quando si deve assumere questa posizione molto scomoda. Gobbóni = accrescitivo di gobbo volto al plurale. Pron. star’ a góbbóni.

star' al culo

STÁR’ AL CÚLO


(Stare troppo vicini, quasi appiccicati). Si dice di persona che ci tallona o di veicolo che ci segue non mantenendo la distanza di sicurezza con la possibilità, in caso di frenatura improvvisa, di essere tamponati. È una frase caratteristica del nostro dialetto, molto vivace ed espressiva. Cùlo = è sempre preferito a sedere. Pron. star’al kuló.

star'a urecchie ritte

STÀR’A URÉCCHIE RÌTTE           
                                                                 

(Stare con le orecchie diritte), cioè ben aperte soprattutto in situazioni in cui ascoltare ci può essere utile. Urécchie = è femminile sia al singolare che al plurale. In aretino esistono varie parole che, a differenza dell’italiano dove il genere muta da singolare a plurale, mantengono in entrambi i casi lo stesso genere. Es: il rene, le reni > el réne, i réni.  La u si deve al fatto che in aretino la o protonica italiana passa spesso ad u. Es: ortica > urtìca. Il gruppo cchie ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Rìtte = dritte. Pron. star’a uréččé ritté. [Nella scrittura con simboli la i non viene trascritta in quanto già compresa nel suono č].

star'a uscio e bottega

STÀR’A ÙSCI’E BOTTÉGA

(Abitare a uscio e bottega), cioè abitare in case molto vicine. Stàr’
=  infinito apocopato di stàre. In aretino il verbo abitare è pochissimo usato, sostituito quasi sempre da stàre. Pron. star’ a usci’ é bóttéga.

stare come la camici'al culo

STÀRE CÓME LA CAMÍCI’AL CÙLO

(Stare come sta la camicia che calza bene sul sedere). È una frase che si usa in senso metaforico per indicare tutto ciò che sta bene, che è ordinato, che viene a proposito. Cùlo = è sempre preferito a sedere. Pron. staré kómé la kamiȼi’al kuló.

stare 'n panciolle

STÀRE ’N PANCIÒLLE

(Stare in ozio), soprattutto dopo pranzo, spaparazzati, per digerire meglio e riposarsi. ’N = aferesi  di in. Panciòlle = vezzeggiativo-diminutivo di pancia volto al maschile. Pron. staré ’n panciòllé.

stare sbracato

STÀRE SBRACÀTO


(Stare senza pantaloni). Si usa in senso metaforico per dire senza far niente, completamente rilassato. Sbracàto = participio aggettivato dell’italiano arcaico sbracare = riposare. Pron. staré ʃbrakató. 

stare sul cazzo

STÁRE SUL CÁZZO (o SÚ LE PÁLLE, SUI COGLIÓNI)


(Stare antipatico). Si dice di situazioni o di persone che mal sopportiamo e di cui ci vorremmo liberare o fare a meno. È una frase molto colorita ritenuta dai più volgare, ma veramente molto usata. Sostituisce le espressioni italiane stare antipatico, essere insopportabile, essere fastidioso. Pron. staré sul kazzó, su lé palle, sui kóglióni.

sta ssu l'imbraca

STÀ SSU L’IMBRÁCA


(Stare senza far niente). Come spesso succede, il modo di dire è ripreso dal mondo degli animali, in questo caso dal cavallo che, invece di avanzare, sta fermo con le natiche appiccicate all’imbraca. Stà = infinito breve di stàr. [S]su = quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamtente segue rs > ss. Imbràca = finimenti dei cavalli da tiro. Pron. sta ssu l’mbraka.

ster a brinzelloni

STÈR’A BRINZELLÓNI

(Stare in giro senza fa niente). È un modo di dire espresso in aretino stretto. Si dice di chi passa il tempo a bighellonare invece di lavorare o fare qualcosa di utile. Stèr = infinito breve di stère. Nell’aretino del secondo dopoguerra la a tonica italiana passava ad è aperta:  pane > pène, amàre > amère. Nell’aretino attuale il fenomeno è del tutto scomparso. Pron. stèr’a brinzéllóni.

ster a cavalcioni

STÈR’A CAVALCIÓNI

(Stare con le gambe divaricate). Era la posizione tipica dei nostri nonni quando si riposavano, ma ancora oggi si fa così. Stèr = stare. Fino agli anni settanta la a tonica italiana in aretino passava ad e aperta. Es: pane > pène. Oggi il fenomeno è scomparso. Cavalcióni = deverbale da cavalcare, con una gamba di qua e una di là, come si sta a cavallo. Pron. stèr’a kavalcióni.

ster a la marigge

STÈR’ A LA MARÍGGE

(Stare all’ombra). È un modo di dire espresso in aretino stretto. Nel mondo contadino del passato per gli anziani era troppo faticoso lavorare nei campi durante le ore più calde dell’estate, quindi stavano all’ombra, e magari passavano il tempo intrecciando con i vimini cestelli, oppure rifacendo il manico ad una vanga o ad una zappa. Stèr = infinito apocopato di stère. La e di stère si spiega con il fatto che nell’aretino del secondo dopoguerra la a tonica italiana passava ad è aperta. Oggi il fenomeno è del tutto scomparso. Marìgge = ombra, variante di meriggio. Pron. stèr a la mariggé.


ster a la poventa

STÈR’ A LA PÓVENTA

(Stare in un luogo riparato dal vento). È un modo di dire in aretino stretto. Stèr’ = infinito apocopato di stère. In aretino stretto la desinenza dell’infinito della I° coniugazione è ère invece di are. A la = alla. Le preposizioni articolate sono sempre pronunciare staccate e degeminate. Es: dello > de lo. Povènta = è un termine toscano di origine dotta essendo la trasformazione di [ap]po (latino post = dietro) e vento (latino ventus) con passaggio al genere femminile. Pron. stèr’ a la póvènta.


ster al frisculino

STÈR’ AL FRISCULÍNO o al FRISCHÍNO


(Stare al freschino). È una variante di stèr a la marìgge. Stèr =  stare. Nel secondo dopoguerra la a tonica italiana passava ad è aperta: pàne > pène. Oggi il fenomeno è scomparso. Frisculìno e frischìno sono diminutivi di fresco. I diminutivi sono soggetti all’armonia vocalica dovuta al fatto che l’aretino predilige all’interno della stessa parola vocali identiche o simili. Mentre in italiano il diminutivo di fresco è freschino, in aretino cambia la successione delle vocali  e, i, o  > i, i, o. Pron. stèr’al friskulinó, al friskinó. 

ster al zolarino

STÈR’AL ZOLARÍNO

Stare al tiepido sole dell’inverno). Era un’abitudine dei vecchi di un tempo quella di approfittare delle rare, tepide giornate invernali per godersi un po’ di sole e riscaldarsi. Stèr = stare, è un infinito apocopato con il tipico passaggio dell’aretino di un tempo della a tonica ad è aperta. Zolarìno = tipico diminutivo aretino di sole. La z si spiega con il fatto che in aretino i gruppi italiani ls, ns, rs, sono sempre pronunciati lz, nz, rz. Es: malsano > malzàno, senso > sènzo, marsala > marzàla. Pron. stèr’al zólarinó.

ster'a treggiolere

STÈR’A TREGGIOLÈRE


(Indugiare, perdere tempo). È un modo di dire in aretino stretto probabilmente di origine contadina, oggi in parte italianizzato: stàr’a treggiolàre. Stèr = infinito apocopato di stère. La desinenza ère si deve al fatto che nell’aretino del passato la a tonica italiana passava sempre ad e aperta. Es: pàne > pèneTreggiolère = indugiare. È un denominale da trèggia, slitta adibita sorattutto al trasporto del letame che, essendo senza ruote, era costretta a procedere lentamente. Pron. stèr’ a tréggiólèré.

ster a zanbracconi

STÈR’ A ZAMBRACCÓNI


Stare in ozio, magari andando in giro senza far nulla. È un modo di dire in aretino stretto. Stèr’ = apocope di stère. La desinenza in ère invece di are è dovuta al fatto che in aretino stretto la a tonica italiana passa sempre ad e aperta. Es: pane > pène. Zambraccóni = è l’accrescitivo volto al maschile di zambracca, variante di baldracca = prostituta. Il senso della frase doveva essere in origine stare in giro in cerca di prostitute, poi passato nel significato attuale di stare semplicemente in giro. Pron. stèr’ a zambrakkóni.

'sto lavoro unn'acumparisce

’STO LAVÓRO UNN ACUMPARÌSCE

(Questo lavoro non progredisce). Si dice ogni volta che un lavoro per i più diversi motivi va a rilento. ’Sto = forma aferetica e popolare di questo. Unn = tipica negazione aretina per non. Quando la n è seguita da vocale si ha la geminazione n > nn. Acumparìsce = è tipico del dialetto aretino inserire una a prostetica ai verbi. Es: cominciare > aguminciare. La u è dovuta al fatto cha la o protonica italiana in aretino passa spesso ad u. Es: ortica > urtìca. Pron. ’stó lavóró unn akumpariscé. 

'sto temp'è balugano

’STO TÈMP’ È BALUGÀNO!


(Questo tempo è variabile) nel senso che non si sa che tempo fa, se si mette al bello o al brutto. ’Sto = aferesi di questo. Balugàno = il primo significato che ha in aretino è ammalato. Il significato deriva forse dal fatto che è un deverbale da baluginàre = apparire e sparire della luce e quindi, in senso traslato, stare bene e non stare bene. Pron. ’stó tèmp’è baluganó.

'sto tempo vol far'el coglione

’STÓ TÈMPO VÓL’ FÀR’EL COGLIÓNE

(Questo tempo si vuol mettere al brutto). Si dice quando, guardando il cielo, si vedono formarsi nuvole minacciose che preannunciano pioggia. ’Sto =  forma aferetica di uso corrente per questo. Vól’ = forma apocopata di vóle = vuole. Il verbo volere  segue una coniugazione propria (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). El = tipico articolo aretino per il. Coglióne = in aretino la parola assume vari significati a seconda del contesto in cui è inserita: qui è usata nel senso di matto. Pron. ’stó tèmpó vól’ far’él kóglióné.

su gusti un ce se sputa

SU’ GÙSTI UN CE SE SPÙTA


(Sui gusti non si sputa). È una traduzione popolare della celebre frase latina de gustibus disputandum non est, cioè sui gusti non si discute, come dire tutti i gusti son  gusti. Sputa al posto di discute è dovuto alla errata traduzione della parola [di]sputa[ndum]. Un = tipica negazione aretina per non. Ce = avverbio di luogo per ci. Se = analogamente alle particelle pronominali aretine mé, té, cé, sé, , anche l’avverbio italiano ci si presenta nella forma ce. Pron. su’ gusti un cé sé sputa.

tant'en ditto, tant'en fatto

TÀNT’ÈN DITTO, TANT’ ÈN FATTO


(Tanto hanno detto tanto hanno fatto). Si dice di chi fa seguire i fatti alle parole. È un modo di dire espresso in aretino stretto che oggi tende ad esser sostituito dalla forma più italiana tant’ han detto, tant’ han fatto.  Èn = è la terza persona plurale del presente indicativo del verbo avere. La e si spiega con il fatto che nell’aretino del passato la a tonica italiana passava ad e aperta. Es: pàne > pène. Oggi la voce è sostituita da àno che comunque mantiene la degeminazione della n (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Pron. tant’èn dittó, tant’èn fattó.

tanto caca 'na bubbela che cent'ucillini

TÁNTO CÁCA ’NA BÚBBELA CHE CÈNT’UCILLÍNI


(Vale tanto una cosa grande che cento piccole), cioè tanto vale fare una cosa in un modo che in un altro, l’importante è raggiungere lo stesso risultato. Càca = cacàre è preferito alla voce defecare. ’Na = forma aferetica di una. Bùbbela = termine aretino dell’upupa. Cènt’ = forma apocopata di cènto. Ucillìni = diminutivo di ucello. In aretino i diminutivi sono soggetti ad un fenomeno detto armonia vocalica: italiano uccello > uccellino, aretino ucèllo > ucillìno, cioè alla seria vocalica u, e, i, o, viene sostituita la serie u, i, i, o. Pron. tantó kaka ’na bubbéla ké ȼènt’uȼillini.

tastass'el culo e dinne una

TASTÀSS’EL CÙL’E DÌNNE ÙNA


(Parlare troppo frequentemente e spesso a sproposito). È un modo di dire probabilmente di origine contadina che si usa sempre in senso metaforico. Forse trova spiegazione nel fatto che le contadine di un tempo tastavano spesso il sedere delle galline per sentire se avevano l’uovo. Tastàsse = tastarsi. In aretino la desinenza dell’infinito dei verbi riflessivi e àsse invece di arsi. Il se al posto del si si spiega con il fatto che in aretino le particelle pronominali sono mé, té, cé, sé, vé. El = tipico articolo aretino per il. Cùl’ = è sempre preferito a sedere. Dìnne = infinito breve per dirne. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rn > nn. Pron. tastass’él kul’é dinné una. 

tecchia, puttana, che t'ho cott'un ovo

TÈCCHIA, PUTTÀNA, CHE T’HÒ CÒTT’UN ÓVO

(Ingrassa, puttana, ché ti ho cotto un  uovo). È un modo di dire in aretino stretto, usato sempre in senso metaforico. Si dice quando chi ci dà qualcosa pensa che sia di grande valore e a noi invece sembra che non valga niente. Técchia = è un termine tipicamente aretino, imperativo del verbo tecchìre/tecchiàre = prosperare. Il gruppo cchia ha pronuncia occlusiva postpalatale sorda. Puttàna = non è chiaro a quale titolo entri nel modo di dire. Óvo = per le parole derivanti dal latino l’aretino è più conservativo dell’italiano. Mantiene infatti la o tonica originaria che assume suono chiuso: latino ovum > italiano uovo > aretino óvo. Pron. téčča, puttana, ké t’ò kòtt’un óvó. [Nella scrittura con simboli la i non viene trascritta perché compresa nel suono č].


te ci en trovo a l'uvva eh

TE CI ÈN TRÓVO A L’ÙVVA, EH?


(Ti ci hanno trovato a rubare l’uva, eh)? Si dice rivolgendosi a persona che, commettendo un illecito, è colta sul fatto. È un modo di dire espresso in aretino stretto. Un tempo, data la povertà dilagante, i furti di cibo erano piuttosto frequenti. Te = particella pronominale per ti. In aretino le particelle pronominali sono mé, té, cé, sé,vé. Èn = forma breve della terza persona plurale del presente indicativo del verbo avere = hanno. Tróvo = participio breve del verbo trovare: in aretino i participi brevi sono una norma (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Úvva = uva. La doppia v si spiega con il fenomeno della geminazione, tipico dell’aretino. Pron. té ȼi an tróvó a l’uvva, èh? 

te (è) vist'un belmondo

TÉ (È) VIST’UN BÈL MÓNDO!

(Tu hai visto un bel mondo)! Si dice, quasi con invidia, a chi tutto fila liscio. Te = tu. In aretino si usa anche come pronome personale soggetto. È = hai. È la tipica forma aretina della seconda persona singolare del presente indicativo del verbo avere (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Pron. té (è) vist’un bèl móndó.


tela pallino

TÉLA PALLÌNO

(Scappa Pallino). È un incitamento alla fuga. Téla = è la terza persona singolare del presente indicativo del verbo telàre = scappare. Alcuni la fanno derivare dall’espressione toscana far tela = fuggire, dove tela è usatata  nel senso di vela, quindi far vela nel significato di prendere il largo. Pallìno = nome immaginario. Pron. téla Pallinó.

te le cavo io le penne maestre

TE LE CÀVO IO LE PÉNNE MAÉSTRE!

Si usa in senso figurato, con tono ironico o di rimprovero intendendo dire, ti sistemo io, ti metto a posto io, rivolgendoci a chi ha commesso qualcosa di illecito. Te = ti. In aretino le particelle pronominali sono mé, té, cé, sé, vé. Pénne maéstre = sono quelle che servono agli uccelli per direzionarsi. Pron. té lé kavó ió lé pénné maéstré!

te mangio co' pann'adosso

TÉ MÀNGIO CÒ’ PÀNN’ADÒSSO!


(Ti mangio con i panni addosso). La frase si pronuncia duranti i litigi in cui uno dei contendenti minaccia l’altro di ridurlo a mal partito. Te = ti. Le particelle pronominali in aretino sono mé, té, cé, sé, vé. Co’ = forma apocopata di con i. Adòsso = è sempre pronunciato col la d degeminata. Pron. té mangió kó’ pann’adòssó.

te mettarebbe la casa 'n capo


TE METTARÈBBE LA CÀSA ’N CÀPO

TE METTARÈBBE LA CÀSA ’N CÀPO

(Ti metterebbe la casa in capo). Si dice con ammirazione di chiunque è disposto a fare qualunque cosa per una persona che stima particolarmente. Non è un caso che entri nel modo di dire la casa, in quanto è da sempre il bene più prezioso per gli italiani. Te = particella pronominale per ti. In aretino le particelle pronominali sono mé, té, cé, sé, vé. Mettarèbbe = tipica forma del condizionale aretino dei verbi della II° coniugazione che sostituisce la desinenza italiana  erebbe con  arèbbe (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Pron. té méttarèbbé la kasa ’n kapó.


te metto 'n tasca quande volgo

TE MÈTTO ’N TÀSCA QUÀNDE VÒLGO


(Ti metto in tasca quando voglio). È un modo di dire in aretino stretto. È detto di solito in un litigio da uno dei contendenti come micaccia per l’avversario, intendendo dire che avrà facilmente la meglio su di lui. Te = le particelle pronominali in aretino sono mé, té, cé, sé, vé. ’N = aferesi di in. Quànde = tipica forma aretina per quando. Vòlgo = voglio. Rispetto alla forma italiana la parola ha subito una metatesi: gl > lg con sincope di i (per approfondimenti puoi consultare I verbi nell’uso aretino dello stesso autore). Pron. té méttó ’n taska kuandé vòlgó.

te pigli 'l bruttomele

TE PÌGLI ’L BRUTTOMÈLE

(Che ti prenda un malaccio)! È un modo di dire molto spontaneo, espresso in aretino stretto, molto usato fino a qualche decennio fa, poi sostituito dall’analogo te pìgli ’n càncro, rivolto a chi ci infastidisce o ci fa un dispetto, un torto, ci arreca un danno. Te =  in aretino le particelle pronominali sono mé, té, cé, sé, vé. Pìgli = il verbo pigliàre è preferito a prendere. Bruttomèle = bruttomale.  La è si spiega con il fatto che all’incirca fino agli anni settanta la a tonica italiana passava in aretino ad e aperta: pàne > pène. Pron. té pigli ’l bruttómèlé.


te rompo 'l muso

TE RÓMPO ’L MÙSO!

(Ti rompo la faccia). Quante volte da ragazzi abbiamo pronunciato questa frase minacciando un coetaneo con cui stavamo litigando! Te = particella pronominale per ti. In aretino le particelle pronominali sono mé, té, cé, sé, vé. ’L = forma aferetica dell’articolo aretino el per il. Mùso = in italiano ci si riferisce a quello animale, ma in aretino si usa anche per le persone. Pron. té rómpó ’l muʃó.

tira più un pel de fica che cento cavaggli

TÌRA PIÙ UN PÉL’ DE FÌCA CHE CÈNTO CAVÁGGLI



(Tira più un pelo di vagina che cento cavalli), cioè non c’è forza superiore a quella che attira l’uomo verso la donna. De = tipica preposizione aretina per di. Cavàggli = la parola ci fa capire che si tratta di un modo di dire che viene da lontano: infatti il gruppo italiano lli  di cavalli è trasformato in aretino in suono laterale prepalatale: lli > ggli. Pron. tira più un pél dé fika ké ȼèntó kavaggli.

tirar'el ben pe' la pace

TIRÀR’EL BÉN PE’ LA PÀCE

(Tirare il bene per la pace), cioè adoperarsi per pacificare. El = tipico articolo aretino per il. Pe’ = apocope di pér, quindi la grafia dovrebbe essere pel la. Infatti, quando la r è seguita da l, in aretino si ha il fenomeno dell’assimilazione rl > ll. In questo caso non avviene perché il gruppo per la si comporta come le prepo- sizioni articolate che si pronunciano sempre  staccate e degeminate. Es: dello > de lo, sulla > su la. Pron. tirar’él bén pé la paȼé.

tra aello e ull'aere c'è la su diferenza

TRA AÉLLO E U LL’AÉRE, CI AVARÈBBE A CURRÍRE

(Tra avere e non avere ce ne corre). È un modo di dire espresso nell’aretino più stretto. Aéllo = averlo, formato dall’infinito sincopato e  breve aér con suffisso lo. Quando l’infinito è breve la r della desinenza si assimila alla consonante che immediatamente segue rl > ll. Un =  tipica negazione aretina per non. Aére = forma sincopata di avére. Avarèbbe = forma tipica del condizionale del verbo avere con a epentetica. Currìre = forma molto vernacolare del verbo correre. Rispetto alla corrispondente forma italiana è piano invece di sdrucciolo e passa dalla II° alla III° coniugazione (per approondimenti puoi consultare I verbi nell’uso retino dello stesso autore). Pron. tra aélló é un l’aéré ȼiavarèbbé a kurriré.